La corsa agli armamenti

di Gustavo Corni

Nei decenni precedenti la Grande Guerra, lo sviluppo dell'industria e le ambizioni delle grandi potenze generarono un esponenziale sviluppo delle forze armate e dell'industria bellica. La corsa agli armamenti provocò una situazione di crescente tensione che avrebbe portato allo scoppio della guerra.

La corsa agli armamenti che segnò il trentennio precedente la Grande Guerra fu una delle principali cause del conflitto. I governi ebbero a disposizione uno strumento militare moderno, che per certi aspetti “doveva” essere utilizzato. Infatti la logica delle armi e degli eserciti è quella di essere impiegati in guerra. Per il suo carattere eclatante e per i costi che essa comportò, la corsa agli armamenti iniziata nel tardo Ottocento può essere paragonata a quella per gli armamenti atomici, che caratterizzò invece la guerra fredda.

Molti elementi convergono a giustificare questa competizione militare e le dimensioni che andò assumendo. Per prima cosa vi fu una forte spinta all’armamento da parte delle imprese produttrici, da quelle carbo-siderurgiche a quelle meccaniche. Queste avevano interesse a mettersi al servizio dei governi, realizzando armi sempre più micidiali e costose. Per fare qualche esempio, le corazzate tedesche passarono da un costo unitario di 38-40 milioni di marchi oro a uno di 44-45 nel giro di pochi anni. I cantieri inglesi, da parte loro, sfornarono incrociatori da battaglia il cui costo passò da 1,6 milioni di sterline (per l’Invincible del 1906) a 2,08 del Lion, tre quattro anni dopo. Imprese come Krupp in Germania, Vickers in Inghilterra, Škoda nell’Impero austro-ungarico o Ansaldo in Italia, divennero in pochi anni dei colossi. Nonostante l’indubbio interesse del mondo produttivo, non si può però attribuire la corsa agli armamenti esclusivamente alla volontà delle grandi industrie.

Un motivo più importante è rappresentato dalle alleanze contrapposte che si formarono in quegli anni. Alla Triplice Alleanza, siglata nel 1882 fra Germania, Austria-Ungheria e Italia, si contrappose l’Intesa franco-russa (1892), cui pochi anni dopo si aggiunse la Gran Bretagna. Queste coalizioni si basavano prevalentemente sulla difesa e sulla paura reciproca, ma contenevano anche elementi offensivi. Tutti temevano il potenziale militare della Russia, che aveva 170 milioni di abitanti, più di quelli dei tre paesi della Triplice insieme. I suoi nemici perciò cercarono di dotarsi di eserciti sempre più numerosi. È del 1913 una legge tedesca che ordinò l’aumento di 100.000 soldati sotto le armi per rispondere alla potenziale minaccia russa. Questa decisione provocò a sua volta la promulgazione di una legge francese, che allungava da due a tre anni il periodo di leva, incrementando del 50% le dimensioni dell’esercito. La Francia nutriva un desiderio di rivincita (revanche, da cui il termine “revanscismo”) verso la Prussia/Germania, che l’aveva sconfitta nel 1870; rispetto all’Impero germanico la Repubblica francese aveva però una popolazione e una capacità industriale minori.

La corsa agli armamenti portò a sviluppare artiglierie sempre più potenti, ma anche corazzature capaci di resistere ai loro colpi. Fu anche sviluppata una nuova arma mobile ed efficace: la mitragliatrice.

L’aspetto più eclatante della corsa agli armamenti riguardò però le flotte. Tutte le grandi potenze avevano delle colonie oltreoceano ed era diffusa la convinzione che la forza di una nazione si misurasse sulla capacità di controllare le rotte marittime. Nel libro The Influence of Sea Power upon History (1890) l’ammiraglio americano Alfred T. Mahan aveva sviluppato l’idea del “navalismo”. Da quel momento tutte le potenze (compresa l’Italia) cercarono di dotarsi di grandi flotte. In particolare, a partire dal 1897, l’ammiraglio tedesco Alfred von Tirpitz, segretario alla marina, propose che la Germania avviasse una politica mondiale in aperta concorrenza con la Gran Bretagna. Quest’ultima, gelosa del suo impero coloniale e del predominio navale, non poteva accettare alcun rivale. Secondo Londra la propria marina avrebbe dovuto essere più forte della somma della seconda e della terza flotta. Al centro di questa competizione vi furono le corazzate: navi di grande dimensione, potentemente armate e difese. Si passò da 20.000 tonnellate a stazze superiori alle 30.000, con cannoni doppi o tripli in torrette girevoli, da 450-500 mm di calibro. Erano navi con più di mille uomini d’equipaggio, che viaggiavano a quasi 30 nodi.

Nonostante l’impiego di enormi risorse, la Weltpolitik germanica non riuscì a scalfire la supremazia inglese. Essa ebbe però un effetto collaterale: convinse tutte le potenze, piccole e medie, a realizzare flotte da guerra sempre più potenti e costose.


Gallery


Testimonianze

Ivan Stanislavovic Bloch

Ivan Stanislavovic Bloch, nato a Radom nel 1836 e deceduto a Varsavia nel 1902, visse in quella parte di Polonia che era sotto il dominio zarista. Ebreo convertito al calvinismo, è stato un imprenditore e banchiere di successo. Diede un apporto significativo alla costruzione di una rete ferroviaria moderna nella Russia zarista e fu, fra l’altro, fondatore di una delle maggiori banche polacche: la Bank Handlowy di Varsavia. Già molto ricco e sensibile ai rapporti fra economia e società, si ritirò dagli affari per dedicarsi agli studi. Era stato molto colpito dalla guerra franco-prussiana del 1870/71, che mostrava caratteristiche di novità rispetto alle guerre precedenti. Si pensi ad esempio all’accresciuta capacità di fuoco dei fucili. Si dedicò così a uno studio sui rapporti fra guerra ed economia. L’opera imponente, dal titolo originale The war of the future in its technical, economic and political relations, era fondata su un’ampia disamina di statistiche e di dati economici e militari. Oltre a proporre un’analisi articolata sull’attuale situazione degli armamenti su scala mondiale, Bloch sostenne una tesi di fondo molto forte: nonostante l’accumularsi degli arsenali bellici, le armi di quell’epoca erano diventate così micidiali da rendere impossibile la guerra tra le grandi potenze. Questa sarebbe stata un suicidio. Il pensiero di Bloch si basava su un pacifismo ragionato e moderato. L’importanza dell’opera dell’economista venne riconosciuta a livello internazionale. Negli anni seguenti uscirono edizioni integrali in Francia, Inghilterra e Germania. Un’edizione ridotta in inglese è stata ristampata fino ai giorni nostri, con il titolo di Is war now impossible?. Grazie al sostegno concessogli dallo zar Nicola II, le tesi di Bloch ebbero un palcoscenico internazionale: nel 1899 fu uno degli invitati della conferenza internazionale sulla pace de L’Aia, convocata per iniziativa dello zar. Fu anche candidato ai primi Nobel per la pace (ma senza successo).
Le sue tesi sono premonitrici. Infatti ad un’analisi retrospettiva il suo studio appare profondamente accurato. Nonostante la fondatezza della sua visione rispetto alla “grande guerra” (così la chiama lui stesso), è paradossale come le potenze europee decisero comunque di gettarsi in un conflitto rivelatosi molto simile alle previsioni del banchiere ed economista russo-ebreo-polacco. I brani che seguono, tratti in gran parte dalla lunga introduzione all’edizione inglese ridotta del 1899, curata dal noto giornalista William T. Stead, rispecchiano i punti principali della visione di Bloch.

La guerra del futuro, la guerra che è diventata impossibile, è la guerra che ha suscitato l’immaginazione dell’umanità negli ultimi trent’anni, la guerra in cui grandi nazioni armate fino ai denti si scontrano usando tutte le risorse di cui dispongono in una lotta per la vita e per la morte. Questa è la guerra che di giorno in giorno diventa sempre più impossibile (X)

La guerra, anziché essere uno scontro all’arma bianca in cui i combattenti misurano la propria superiorità fisica e morale, diventerà una guerra di stallo, nella quale nessuno degli eserciti sarà in grado di superare l’altro; entrambi gli eserciti si opporranno l’uno all’altro, si minacceranno reciprocamente, ma non saranno mai in grado di sferrare un attacco finale e decisivo. Sarà semplicemente l’evoluzione naturale della guerra armata, su una scala molto più minacciosa (XVI)

É stato stimato che se un corpo composto da 10.000 uomini, avanzando all’attacco, dovrà superare una distanza di un miglio e mezzo sotto il fuoco di una singola batteria, esso sarà esposto al fuoco di almeno 1450 proiettili prima di avere superato la linea del fuoco. L’esplosione dei proiettili sparati dai cannoni provocherà 275.000 frammenti che si distribuiranno su tutto lo spazio di un miglio e mezzo che i soldati debbono attraversare. Nel 1870 un proiettile standard si frammentava in 19-30 schegge. Oggi si frammenta in 240. Il fuoco di uno shrapnel nel 1870 provocava 42 frammenti. Oggi ne origina 340. (XXV)

Per attaccare una posizione trincerata con successo, si è calcolato che la forza attaccante dovrà superare quella difensiva di otto a uno. Si è calcolato che 100 uomini in una trincea siano in grado di mettere fuori gioco 336 dei 400 attaccanti, mentre stanno attraversando una zona di fuoco profonda appena 300 iarde (XXVII)

Quando noi diciamo che una guerra è impossibile, intendiamo che è impossibile per uno stato moderno condurre una guerra con metodi moderni in modo tale che l’esito della guerra stessa sia la sconfitta dell’avversario per mezzo delle armi, in un campo di battaglia. Non è possibile una guerra decisiva (XXXI)

Sarà impossibile sottrarre dei feriti dalla zona di fuoco senza esporre gli uomini della Croce Rossa a morte certa. La conseguenza sarà che verranno lasciati feriti sul terreno e potranno restarvi per molti giorni. Saranno fortunati coloro che saranno stati uccisi subito (XLI)

Sono estremamente dubbioso sul fatto che la Germania o la Francia siano in grado di alimentare la propria popolazione, per non parlare dei propri soldati, quando l’intera macchina della produzione agricola sarà stata distrutta dalla mobilitazione in massa dell’intera popolazione (XLVIII)

Le nazioni non potranno continuare a sperperare 250 milioni di sterline all’anno per prepararsi a tentare una guerra che potrà essere azzardata solo a prezzo di un suicidio; ciò significa che nessuno tenterà di fare una guerra perché nessuna nazione commette coscientemente un suicidio (LI)

In breve, io considero il fattore economico come quello dominante e determinante nella faccenda. Non si può combattere se non si mangia ed al momento presente nessuno è in grado di nutrire il proprio popolo e allo stesso tempo azzardare una grande guerra (LX)

Le battaglie moderne si decideranno, nella misura in cui sarà possibile deciderle, da uomini stesi in buche improvvisate, scavate da loro stessi per proteggersi dal fuoco di un nemico distante e invisibile. Tutta la pompa e gli orpelli della guerra gloriosa sono spariti da quando è stata inventata la polvere da sparo che non genera fumo (LXII)

Che la guerra sia in fin dei conti impraticabile è un dato evidente. La questione è più precisa: quando si diffonderà fra i governi e i popoli europei questa verità inoppugnabile? (LXXIX)


Link

http://www.itinerarigrandeguerra.it
http://www.authentichistory.com

 

 


Letture

Paolo Ferrari, Verso la guerra. L'Italia nella corsa agli armamenti 1884-1918, Novale, Rossato, 2003
Georg W. F. Hallgarten, Storia della corsa agli armamenti, Roma, Editori Riuniti, 1972
David G. Herrmann, The arming of Europe and the making of the First world war, Princeton, Princeton University, 1996
Paul Kennedy, Ascesa e declino delle grandi potenze, Milano, Garzanti, 1989, cap. 5