Gli spari di Sarajevo e la questione balcanica
di Alessandro Chebat
Il 28 giugno 1914 Sarajevo entrava prepotentemente nella storia. Il nazionalista serbo Gavrilo Princip assassinava l’arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono austro-ungarico. L’emergere di mai sopite tensioni attorno alla polveriera balcanica determinò lo scoppio di un conflitto senza precedenti.
L’assassinio dell’arciduca Francesco Ferdinando segnò l’apice di un’escalation di tensione nei Balcani, area che da circa un secolo costituiva un fattore di destabilizzazione e di tensioni internazionali. L’instabilità derivava dalla crisi dell’Impero ottomano, già in pieno sviluppo nella seconda metà dell’Ottocento. Dopo una disastrosa guerra con la Russia, Istanbul fu costretta a firmare il duro trattato di Berlino (1878) che prevedeva l’indipendenza de facto di Serbia, Romania e Montenegro e la costituzione del principato di Bulgaria. Inoltre la Bosnia veniva concessa in amministrazione all’Impero austro-ungarico. Tuttavia l’ordine stabilito a Berlino non era destinato a durare. In una regione come i Balcani, un mosaico di etnie e fedi religiose, l’espansionismo delle nuove entità statali unito alla competizione delle potenze europee nella spartizione dell’Impero ottomano misero in crisi l’equilibrio raggiunto. Tra il 1881 e il 1908 Romania, Serbia e Bulgaria proclamarono la propria indipendenza. A complicare ulteriormente il quadro contribuiva l’affermazione del panslavismo, un’ideologia fondata sul mito della “riunificazione slava” e della “terza Roma”, utilizzata dall’impero zarista per giustificare le proprie mire espansionistiche nei Balcani. La Serbia, invece, riuscì ad imporsi quale guida dell’irredentismo balcanico anche grazie ai congressi panslavi di Praga del 1908 e di Sofia del 1910. Proprio in queste sedi si affermò l’esigenza di rafforzare la posizione degli slavi nei confronti di tedeschi ed ungheresi. In linea con questi eventi e lo “stato d’animo” dell’epoca fu la nascita dell’associazione nazionalista Mano Nera, composta da ufficiali serbi, propugnatori del mito della “Grande Serbia”. Tale organizzazione comparve nel 1903 assassinando Alessandro I di Serbia, accusato di condurre una politica filotedesca e poco sensibile alla questione bosniaca.
A Vienna l’affermazione del nazionalismo slavo comportava notevoli problemi di politica interna oltre che estera. L’Impero era dominato da una classe dirigente per lo più austriaca ed ungherese, che escludeva sia dalla rappresentanza che dall’amministrazione i sudditi slavi. Anche per questa ragione vi fu una importante diffusione del panslavismo, che innescò quelle spinte centrifughe che minavano la stabilità dell’Impero e la compattezza dell’esercito. La situazione si aggravò nel 1908, quando Vienna incorporò la Bosnia (a maggioranza serba) entro i propri confini. A Praga i sudditi boemi dell’Impero, affascinati dal panslavismo, protestarono a sostegno delle rivendicazioni serbe sulla regione. Francesco Giuseppe fu costretto ad imporre la legge marziale.
Sul piano internazionale l’attivismo asburgico permise alla Russia di proclamarsi protettrice dell’irredentismo slavo e rafforzò la Serbia in funzione anti-austriaca. Nel 1912 la diplomazia zarista diede vita ad un’alleanza tra Serbia, Bulgaria, Grecia e Montenegro, le cui forze congiunte attaccarono e sconfissero l’Impero ottomano, estromettendo definitivamente la Sublime Porta dai Balcani. Insoddisfatta delle sistemazioni territoriali, la Bulgaria riprese le ostilità. Tuttavia fu rapidamente sconfitta da una nuova coalizione composta dagli ex alleati sostenuti dall’Impero ottomano. Il successivo trattato di Bucarest del 1913 rappresentò più una tregua che una pace stabile. Con la costituzione del principato d’Albania, il trattato privava la Serbia di uno sbocco al mare, mentre non risolveva il contenzioso di Salonicco tra Bulgaria e Grecia. Parallelamente a questi fatti le relazioni tra il Regno di Serbia e l’Austria-Ungheria si inasprirono: fatto grave che segnerà le future alleanze militari.
L’occasione per dare fuoco nuovamente a quella che veniva ormai definita “polveriera balcanica” giunse con la visita di Francesco Ferdinando a Sarajevo. L’erede al trono degli Asburgo era un uomo aperto alle riforme e avverso ai fermenti nazionalisti che minavano l’Impero. Francesco Ferdinando rappresentava un serio ostacolo agli occhi dei nazionalisti serbi per via del suo interesse per la marina austro-ungarica (che comportava una forte presenza imperiale sull’Adriatico) nonché per il progetto di riorganizzare la duplice monarchia su basi trialistiche (austriaca, ungherese e slava). La visita a Sarajevo era finalizzata allo scopo di rafforzare i legami con la Bosnia nonché il dominio asburgico nei Balcani.
Alle ore 11 del mattino, mentre il corteo sfilava sull’Appelkai, Gavrilo Princip, un giovane suddito austro-ungarico di etnia serba, esplose diversi colpi di pistola che uccisero Francesco Ferdinando e la consorte. Le indagini svelarono che l’attentatore era membro dell’organizzazione Giovane Bosnia, gruppo ultranazionalista strettamente legato al servizio informazioni dell’esercito serbo e a numerosi alti ufficiali affiliati alla Mano Nera.
I fatti di Sarajevo aprirono la "crisi di luglio" che poco più di un mese dopo avrebbe portato allo scoppio della Prima guerra mondiale. L’attentato in sé, pur in tutta la sua gravità, fu soltanto il pretesto per rimettere tragicamente in discussione il già precario equilibrio politico e diplomatico dei Balcani. A monte della politica austro-ungarica nella regione vi erano infatti le pressioni tedesche volte ad intralciare la penetrazione russa tra gli slavi meridionali. A sua volta il nazionalismo serbo era fomentato dal panslavismo sostenuto dall’Impero zarista e dagli interessi economici francesi.
A causa del sistema di alleanze accadde che quello che poteva apparire un conflitto regionale limitato all’Impero austro-ungarico e alla Serbia si allargò in uno scontro tra tutte le potenze mondiali.
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Testimonianze
Le prime pagine dei giornali
Alla fine di giugno del 1914 Francesco Ferdinando visitò la Bosnia Erzegovina con la moglie Sofia Chotek, slava di nascita, per partecipare all'inaugurazione di un museo a Sarajevo. Il successore al trono, considerato un sostenitore del trialismo, veniva percepito come una minaccia dagli irredentisti serbi, che rischiavano di veder svanire il proprio programma di massima ‒ ovvero l’annessione alla Serbia delle vaste regioni meridionali della monarchia abitate da popolazioni slave ‒ nel caso in cui Francesco Ferdinando un giorno fosse salito al trono. Il 28 giugno, corrispondente al 15 giugno del calendario giuliano, festa di San Vito ed occasione per le cerimonie patriottiche serbe, uno sparuto gruppo di attentatori, appartenenti alla Mlada Bosna (Giovane Bosnia), un gruppo politico che mirava all'unificazione di tutti gli jugoslavi, organizzò perciò un attentato a Sarajevo, con l’obiettivo di uccidere Francesco Ferdinando. Dopo un primo tentativo fallito, Gavrilo Princip riuscì nel suo intento alle 11 della mattina, esplodendo due colpi di rivoltella contro Francesco Ferdinando e la moglie, prima di essere arrestato.
La notizia del duplice omicidio fece velocemente il giro del mondo e venne riportata dalle maggiori testate giornalistiche. In Austria-Ungheria in particolare non ci fu giornale che non dedicò la prima pagina del 29 giugno ai fatti di Sarajevo, senza distinzione di colore politico, di lingua o di luogo di pubblicazione, da Czernowitz (Bukowina) a Innsbruck (Tirolo), da Teschen (Slesia Austriaca) a Pola (Litorale). Persino in Italia la cronaca, pur incentrata sulla dinamica dell’attentato, mostrava attenzione all’insolito avvenimento, poiché se ne percepiva in nuce la potenziale capacità distruttrice dell’equilibrio esistente.
L’elemento predominante dell’analisi riportata dai giornali riguardava la dinamica dell’attentato, a cui veniva dedicata gran parte dello spazio nel tentativo di ricostruire gli eventi convulsi della giornata, non ancora del tutto chiariti. Allo stesso modo quasi tutti i quotidiani austriaci, nel dare la notizia, tentarono di dare una spiegazione plausibile al movente dell’assassinio, scavando nell’attività politico-militare dell’erede al trono e descrivendola minuziosamente nel commento al necrologio. Ne conseguiva che, pur lasciando la maggior parte dello spazio ai dettagli di cronaca, quasi tutte le testate andarono alla ricerca del movente politico dell’attentato. Questo fu riscontrato, indistintamente, nella fede serbo-nazionale degli attentatori, e la responsabilità politica dello stesso venne pertanto indirettamente riversata sulla politica estera della Serbia.
Ad esempio il Czernowitzer Allgemeine Zeitung scrive «Der Attentäter selbst gibt seine chauvinistisch serbisch-nationale Überzeugung als die Triebfeder an. Er ist ein Bosnier, ist Staatsangehöriger der Monarchie. Das sind Früchte der Großserbischen Staatsidee.» (trad: Lo stesso attentatore fornisce spontaneamente la propria fede serbo-nazionale di vendetta come motivazione al gesto. Lui è bosniaco, è un suddito della Monarchia. Questi sono frutti della idea di riunire tutti i serbi in un unica nazione serba).
Valutazioni simili si possono trovare sull‘Arbeiter Zeitung, organo di stampa della socialdemocrazioa austriaca, che scrive: «Dass dem Mordanschlag serbisch-nationalistische Motive zugrunde liegen, leuchtet vorweg ein; welchen Umfang die Vorbereitung zu dem Morde angenommen hatte, ist zwar noch nicht sichergestellt, aber dass zwei Attentate nebeneinander nicht zufällig entstehen konnten, ist selbstverständlich.» (trad: Appare chiaro il fatto che alla base dell’attentato ci siano motivazioni serbo-nazionali; che dimensioni abbia assunto la preparazione dell’assassinio non è ancora stato chiarito, è però evidente che due attentati l’uno dopo l‘altro non possono essere del tutto indipendenti.
Addirittura la Neue Zeitung di Vienna titola: «Der Thronfolger Erzherzog Franz Ferdinand und seine Gemahlin Herzogin von Hohenberg von Serben ermordet» (trad: Il successore al trono arciduca Francesco Ferdinando e sua moglie la duchessa von Hohenberg assassinati dai serbi), anche se l’attentatore, Gavrilo Princip, non era serbo ma bosniaco.
Toni ancora pià accesi si riscontrano nei giornali di provincia dei Länder a maggioranza tedescofona. Ad esempio il Tiroler Anzeiger scrive: «Auch die Fäden dieses Attentates laufen wieder in Belgrad zusammen und alle Stränge an dem Netz, das man dem Thronfolger um dem Hals warf, um ihn zu erdrosseln, das ganze vielknotige Gewebe, das über ganz Bosnien und die Herzegowina, soweit Serben dort hausen, sich ausgebreitet zu haben scheint, hat dort seinen Ursprung, wo die Vertreter der Idee eines Größeren Serbiens, eines größen südslawischen Reiches beisammen sitzen.» (trad: Anche i fili di questo attentato si riannodano a Belgrado e si riconducono alla rete che ha preso il successore al trono alla gola, per soffocarlo; quella grande tela che sembra essersi allargata su tutta la Bosnia-Erzegovina, fino a dove abitano popolazioni serbe, ha lì la sua origine, dove siedono tutti assieme i promotori dell’idea di una Grande Serbia, di un grande regno degli slavi del sud.)
Nella lettura degli eventi, l’idea della “Grande Serbia”, che secondo le testate austriache si era propagata nelle regioni meridionali dell’Impero a maggioranza slava, divenne perciò la chiave di volta per spiegare l’assassinio, la cui brutalità venne enfatizzata dalla stampa, che non tralasciò particolari macabri e ricostruzioni quasi eroiche della morte dell’erede al trono. Questa ricostruzione, finalizzata ad incolpare la Serbia, avrà il suo riscontro politico esattamente un mese dopo, quando il governo di Vienna invierà l’ultimatum allo Stato serbo.
Link
http://www.istrit.org/GrandeGuerra/010_Attentato_Sarajevo.html
http://www.storiaditrieste.it/sarajevo.pdf
Letture
Volker R. Berghahn, Sarajevo, 28 giugno 1914. Il tramonto della vecchia Europa, Bologna, Il Mulino, 1999
Egidio Ivetic, Jugoslavia sognata. Lo jugoslavismo delle origini, Milano, Angeli, 2012