La “crisi di Luglio”: dalla guerra locale alla destabilizzazione europea
di Alessandro Chebat
L’ultimatum alla Serbia innescò il sistema di alleanze che anni prima era stato giudicato il miglior deterrente contro lo scoppio della guerra. Fu così che sfumò l’ultima speranza di isolare il conflitto nei Balcani: era iniziata la crisi di luglio. L’Europa era ad un passo dalla catastrofe.
La fase successiva all’attentato di Sarajevo sarebbe passata alla storia come la “crisi di Luglio”. Nel corso del mese le potenze europee scivolarono verso un conflitto senza precedenti nella storia. Tuttavia ben pochi se ne resero conto.
Nonostante la gravità dell’attentato e il clima bellicoso che si respirava tra le alte sfere austro-ungariche (Francesco Giuseppe auspicava un’azione militare che cancellasse la Serbia dai Balcani), a Vienna tutti si rendevano conto che aggredire la Serbia sarebbe stato rischioso senza una preparazione diplomatica e militare. Infatti un attacco avrebbe verosimilmente provocato l’intervento di Russia e Francia a sostegno del regno balcanico. Era perciò necessario il sostegno materiale e diplomatico della Germania. Il ministro degli esteri von Berchtold tra il 5 e il 6 luglio ottenne carta bianca dal Kaiser per un intervento armato contro la Serbia. Era necessario accelerare le operazioni militari in modo da mettere Russia e Francia di fronte ad un fatto compiuto. Guglielmo II rassicurò von Berchtold che in caso di intervento franco-russo la Germania si sarebbe schierata militarmente con l’alleato. Forte del sostegno tedesco, Vienna decise così di inviare un duro ultimatum a Belgrado (23 luglio), evitando qualsiasi arbitrato diplomatico. Le ragioni di un così rapido precipitare degli eventi vanno ricercate nella volontà tedesca di passare rapidamente dalla diplomazia alle armi: tale strategia era finalizzata a cogliere alla sprovvista Francia e Russia e limitarne l’ingerenza nel conflitto che si apprestava a scoppiare. A dare maggior fiducia nell’effetto sorpresa vi era il fatto che il presidente Poincaré e il primo ministro Viviani erano ancora in navigazione nel viaggio di ritorno da una visita in Russia. Ciò avrebbe impedito a francesi e russi di consultarsi direttamente, guadagnando così tempo prezioso. Tuttavia l’effetto sorpresa sperato dalla Germania sfumò di fronte alla presa di posizione del capo di Stato Maggiore austriaco Conrad, il quale dichiarò che a causa di un congedo agricolo concesso alle truppe l’esercito non sarebbe stato mobilitabile prima del 4/5 agosto.
In questo contesto si può riscontrare una certa ambivalenza nelle posizioni assunte dai vari attori politici. Pubblicamente gli Imperi centrali presentavano la crisi tra Serbia e Austria-Ungheria come una vertenza da limitare ai soli Balcani, impedendo così un ingresso in guerra delle varie potenze. Tuttavia ad un livello “sotterraneo” la Germania premeva per intraprendere le operazioni militari il più rapidamente possibile, in modo da sfruttare l’effetto sorpresa contro Francia e Russia. Tra il 25 e il 28 luglio la situazione precipitò, la Serbia rifiutò alcuni punti dell’ultimatum perché giudicati lesivi della sua sovranità nazionale. Tre giorni dopo l’Impero austro-ungarico le dichiarava guerra.
In questo lasso di tempo il ministro degli esteri inglese Grey tentò una mediazione proponendo un arbitrato congiunto di Gran Bretagna, Francia, Germania e Italia. Fallito questo tentativo, si fece allora promotore di una conferenza tra le varie potenze durante la quale Austria-Ungheria, Serbia e Russia non avrebbero dovuto impegnarsi in azioni militari. Anche questa ipotesi non andò a buon fine sia per l’intransigenza tedesca e austro-ungarica, ormai convinte della necessità di un’azione punitiva nei confronti della Serbia, sia per l’eccessivo moderatismo di Russia e Francia che preferivano mantenere l’attuale equilibrio con gli Imperi centrali.
Alle ore 00.30 del 29 luglio 1914 le artiglierie austriache sul Danubio aprivano il fuoco contro Belgrado. Di fronte all’attacco austro-ungarico lo Zar Nicola II ordinò una mobilitazione parziale, cui seguì immediatamente la pre-mobilitazione tedesca. In questa fase parve possibile che le principali potenze restassero spettatrici nel conflitto austro-serbo. Tuttavia le pressioni dell’alto comando tedesco sul Kaiser e l’indignazione dell’opinione pubblica russa per l’attacco alla Serbia, spinsero Germania e Russia all’ultimatum. Tra il 30 e il 31 luglio Germania, Austria e Russia proclamarono la mobilitazione generale, seguite il 2 agosto dalla Francia. Il 31 luglio il cancelliere del Reich von Bethmann inoltrò ai propri ambasciatori a Parigi e San Pietroburgo gli ultimatum destinati ai rispettivi governi. Il giorno successivo la Germania entrava ufficialmente in guerra con lo Zar. Il 2 agosto il Belgio respingeva l’ultimatum tedesco che invitava il piccolo regno a permettere il passaggio delle truppe tedesche sul suo territorio, mentre il giorno successivo anche la Francia entrava in guerra con la Germania. Il 4 agosto, truppe tedesche varcarono il confine del Belgio investendo con un attacco la fortezza di Liegi. Fu a questo punto che la Gran Bretagna, fino a quel momento persuasa di poter gestire diplomaticamente la crisi, si levò in difesa della neutralità belga e, spaventata da un conflitto prossimo alle sue coste, dichiarò guerra alla Germania. Da parte sua l’Italia, legata agli Imperi centrali dalla triplice alleanza, dichiarò la sua neutralità il 2 agosto.
Con il tuonare dei cannoni d’agosto aveva inizio la Grande Guerra, tuttavia pochi si resero conto del modo con cui il conflitto era stato deciso. Un conflitto che i più pessimisti credevano potesse risolversi entro la Pasqua del 1915 sarebbe invece terminato nel 1918 dopo sedici milioni di morti.
Gallery
Testimonianze
I volontari britannici
L’impreparazione inglese
Soldato A. V. Simpson, The Duke of Wellinghton’s, 6° Battaglione (T. F.)
L’Inghilterra era così impreparata alla guerra che si dovettero fare appelli per recuperare il vestiario per le truppe. […] Per un certo periodo le uniformi khaki non furono disponibili e un regolamento stabilì che un uomo che indossava il cappotto da civile era pagato 3 pence al giorno, e 6 pence al giorno se utilizzava il suo abito civile. Il vestiario donato dalla nazione era distribuito tra i nuovi arruolati […] Mi fu dato un vecchio Ulster, una sorta di mantellina, con larghe maniche a kimono. Avevo visto un’immagine di Edoardo VII che ne indossava uno durante una caccia al gallo cedrone, così pensai di non avere nulla di cui lamentarmi […].
L’intero battaglione aveva solo sei fucili ed erano solo per esercitazione. Era molto dubbio che qualcuno di essi avesse mai sparato o addirittura che ci fossero delle munizioni. Eravamo alloggiati in posti come la Rodlyn School e il Beechwood Hotel ecc, dove dormivamo in quattro per stanza, con il pagliericcio sul pavimento.
La tradotta e l’entusiasmo per la guerra
Soldato Carson Steward, The Queen’s Own Highlanders, 7° battaglione
Ricordo bene quella mattina presto intorno all’una o le due, nell’agosto del 1915, oltrepassammo il piccolo ponte sopra i campi da golf a Tain sulla strada per la stazione con di fronte i suonatori di cornamusa che suonavano “Happy we’ve been together”.
Prima di partire per la Francia ricevemmo tutti 14 giorni di licenza per tornare a casa e salutare i nostri cari. Fu l’ultimo addio per molti ragazzi. Allo scadere fummo caricati sul treno per le truppe. La maggior parte dei ragazzi era ben preparata al viaggio per quanto riguarda il bere. Sembravo veramente uno dei pochi sobri sul treno. Il bere li rendeva felici e mi unii ai ragazzi nel cantare soprattutto canzoni scozzesi, “Dear old Edimburgh toon”. Oppure “We’re no awa’ toe bide awa”, “Pick up your troubles” e “Tipperary”. Oppure altre come “There’s an old mill by the stream, Nellie Dean”. Il treno procede verso Edimburgo e come entriamo nella stazione cantiamo tutti insieme “I can’t forget Auld Reekie”. Buona parte dei ragazzi si addormentò lasciata Edimburgo, senza dubbio aiutati dall’alcool.
Raggiungemmo Londra e ci acquartierammo nella Wellington Barracks per la notte. Era notte fonda quando entrammo in caserma. Non mangiavamo un buon pasto da circa venti ore, così l’uomo della mensa ci disse che il tè era pronto. Ma ci disse che avremmo dovuto pagare. I Camerons non erano dell’umore di essere insultati dopo un così lungo viaggio. Assalimmo il ragazzo inglese e ne nacque una rissa. I Camerons ne uscirono facilmente vincitori.
La mattina successiva eravamo pronti a partire per Shorncliffe, vicino a Folkestone, ma prima di lasciare Londra noi le avevamo offerto una rissa da veri scozzesi. L’ufficiale incaricato, che era anche la nostra guida, disse di non essere mai stato così contento di sbarazzarsi di questi selvaggi.
In una bellissima domenica mattina lasciamo Folkestone per la nave trasporto truppe, una giornata perfetta soleggiata, con le donne a passeggio nei migliori vestiti della domenica.
Nel momento in cui la nave lascia il porto qualcuno inizia a cantare la vecchia canzone “The anchors weighed, Farewell, Fare-ye-well, Remember me”. Le truppe si unirono e ne uscì una partenza molto emozionante dal punto di vista dei soldati, un po’ triste poiché non sapevamo in quanti sarebbero tornati o cosa ci fosse in serbo per noi.
Soldato P. Mason, 9th (S) Battalion, Yorkshire Hussars Yeonmanry, West Yorkshire Regiment
Non dissi mai nulla dell’arruolamento quando tornai a casa quella sera, ma la domenica mattina c'era una busta OHMS [On His Majesty's Service ndt]. Non la apro. Così, quando iniziò la colazione mamma disse: "Che cos'è? Aprila "Io non volevo aprirla, ma lei insisté. Le istruzioni erano di presentarsi all’ufficio di reclutamento, Grange Road, Middlesborough. Dopo aver letto lei disse a papà, "Jack ferma il suo impeto. Non deve andare! Molti altri possono partire prima che vada lui". Quindi papà disse: "ti sei arruolato, Pete?» Dissi, "Sì papà." "Beh" disse "questa è proprio una notizia inaspettata."
Poi mia madre iniziò ad agitarsi. Disse "ferma il suo impeto, papà. Guarda Riches, il poliziotto. Lui non sta partendo." Così Papa disse:« Beh, supponiamo Pete, che torni senza una gamba o senza un braccio? è questo che vuoi?" Dissi,"Intanto lasciami andare papà, prima di pensare al mio ritorno." "Allora," disse,"a me va bene che tu parli così, ma non sai quello che stai facendo." Io dissi: "Ma sò quello che ho fatto." "Va bene," disse, "se hai fatto il letto, dovresti trovarti già lì." Dissi "Va bene, ci vado subito papà." "Bene", disse alla mamma,"Non c'è altro da dire, Polly." E questo fu l'inizio.
Fucliere W. Worrell, 12th (s) Battallion, The Rifle Brigade
Dopo una settimana di usura in ogni tipo di clima, i nostri vestiti da civili cominciavano ad essere piuttosto malridotti. Gli eleganti straw boaters [tipico cappello di paglia in voga tra la fine del XIX e gli inizi del XX secolo ndt] indossati dai ragazzi di città iniziavano a incurvarsi. Molti pantaloni erano così ristretti che arrivavano ai polpacci, mentre le maniche mostravano parecchio polso. Imparavamo i rudimenti della vita militare attraverso un paio di vecchi soldati capaci di istruirci. Il sergente maggiore della Compagnia C, CSM Leslie era un meraviglioso vecchio esemplare di soldato. Deve aver avuto ben più di settant'anni, ma era ancora arzillo.
Era una vita di sporcizia e disagio, ma in pochi brontolavano. Avevamo ancora quel fervore patriottico che ci aveva spinti ad arruolarci, e il nostro unico timore era che la guerra sarebbe finita prima del nostro arrivo al fronte. Il battaglione ricevette un paio di vecchi fucili Lee Metford [primo fucile a ripetizione inglese del 1884 ndt] che erano distribuiti tra le Compagnie di addestramento e per l'istruzione dei fucilieri. Avevano la canna lunga e il mirino con le tacche a V, tutti noi della compagnia all’inizio eravamo goffi, ma ben presto imparramo a muoverci e a maneggiare le armi come dei veri fucilieri.
Erano state viste arrivare allo spaccio del Quartiermasto le uniformi kaki. Pile di uniformi kaki con i bottoni neri erano alla stazione di Wood Brook in attesa di essere raccolte dai facchini, ma non accadde niente fino a quando un giorno le divise arrivarono. Non erano arrivate troppo presto. Nessun vagabondo che si rispetti avrebbe voluto girare con gli abiti che molti di noi indossavano. La nuova divisa – la Kitchener Blue. Il modello per esse doveva essere stato un poliziotto della città. Dicky e io avevamo circa la stessa taglia, 32-22-28. Entrambi ci ritovammo con pantaloni alla moda, rivoltino a 8 pollici e doppio petto. Dopo averlo abbotonato una prima volta non fummo più in grado di scioglerlo e lo indossavamo come una maglia. L’elegante completo era coronato con una bustina dello stesso materiale.
Link
http://it.wikipedia.org/wiki/Crisi_di_luglio
http://xoomer.virgilio.it/histria/storiaecultura/testiedocumenti/tesipacella/capitolo2.htm
http://wwi.lib.byu.edu/index.php/Main_Page
Letture
Robert Wohl, 1914: storia di una generazione, Milano, Jaca Book, 1984
Gian Enrico Rusconi, Rischio 1914: come si decide una guerra, Bologna, il Mulino, 1987
John Keegan, La prima guerra mondiale: una storia politico-militare, Roma, Carocci, 2004