Il mito di Langemarck. I giovani e la guerra come sacrificio per la patria
di Gustavo Corni
Esaltati dalla retorica nazionalista e convinti che fosse giunto il momento di offrire se stessi alla patria, migliaia di ragazzi tedeschi del Movimento Giovanile si arruolarono volontari. Essi ebbero il battesimo del fuoco a Langemarck, durante la prima battaglia di Ypres, dove caddero a migliaia. Nel dopoguerra l’episodio fu ampiamente sfruttato dalla propaganda nazionalsocialista.
“A occidente di Langemarck giovani reggimenti, accompagnati dal canto di Deutschland, Deutschland über alles, hanno attaccato la prima linea del nemico e l’hanno conquistata”. Questo breve passaggio del bollettino ufficiale del Comando supremo germanico dell’11 novembre 1914, ha aperto la strada a un durevole mito. L’evento bellico è in sé modesto rispetto al contesto nel quale si colloca. Ci troviamo nella parte settentrionale del fronte delle Fiandre e le armate tedesche, inglesi e francesi si stavano gareggiando in quella che è stata chiamata “la corsa verso il mare”. L’obiettivo era prendere il controllo della costa franco-belga per servirsene come perno per ulteriori avanzate e per bloccare (o favorire) l’afflusso di rifornimenti dall’Inghilterra. Circa 7.000 soldati, in gran parte volontari appartenenti a unità delle riserve, lanciarono un attacco contro le posizioni britanniche conquistandole. Sebbene gli inglesi fossero ancora trincerati in modo approssimativo vi furono molte perdite da parte germanica. Una quota di questi soldati erano giovani studenti liceali, in parte minorenni. In verità lo scontro si era svolto nelle vicinanze della località di Bixschote, situata a circa sette chilometri di distanza da Langemarck. Proprio quest’ultima, forse per il nome che suonava molto germanico o per l’assonanza con Bismarck, venne scelta per ricordare la battaglia. Questa azione non ebbe alcun seguito, dato che i britannici riuscirono subito a chiudere la falla. Fin da subito lo scontro assurse però a dimensioni mitiche, valorizzato dalla propaganda di guerra tedesca. I giornali da una parte ripresero il tema biblico della “strage degli innocenti”, mentre dall’altra esaltarono il valore di questi giovani volontari che si erano sacrificati senza addestramento, spinti solo dal loro entusiasmo patriottico. Gli stessi nemici definirono queste unità schoolboy corps, per rimarcarne giovane età e inesperienza.
Il mito rispecchiava largamente il clima del tempo: una forte adesione alla guerra intesa come difesa e sacrificio personale in favore della patria in pericolo. La gioventù era stata protagonista dell’entusiasmo iniziale al momento dello scoppio della guerra. Molti si erano arruolati volontari: un fenomeno che aveva assunto dimensioni macroscopiche nel caso del Regno Unito. La sanguinosa battaglia di Langemarck in qualche modo rispecchiava questo spirito, dando concretezza all’entusiasmo dei giovani per la guerra. Si trattava di una generalizzazione che faceva comodo agli apparati militari e alla politica per legittimare la guerra stessa.
La vicenda di Langemarck divenne un mito durevole. Ogni anno si svolgevano cerimonie in sua memoria, si coniò una moneta intestata a Langemarck e furono inaugurati monumenti dedicati alla battaglia in molte città tedesche.
Il mito si rafforzò dopo la guerra. L’entusiasmo e lo spirito di sacrificio dei giovani di Langemarck venivano ora contrapposti dalle destre nazionaliste tedesche al tradimento dei governanti della repubblica, che erano espressione di chi nel 1918 scioperando aveva provocato la sconfitta. L’esaltazione dei caduti di Langemarck divenne un argomento della lotta politica nella repubblica di Weimar. Essa fu strumentalizzata dalle destra nazionaliste e raccontata da uno scrittore di grande successo come Ernst Jünger nel bestseller Nelle tempesta d’acciaio (1920), che fornì una formidabile immagine letteraria del soldato-volontario-guerriero. Tra 1928 e 1932 un comitato di cittadini, sostenuto da autorevoli finanziatori, fece restaurare il cimitero degli eroi a Langemarck che ospitava circa 11.000 corpi.
Nel 1924 al mito si aggiunse un tassello importante: in un passo del Mein Kampf Adolf Hitler, allora detenuto in un carcere bavarese dopo il fallimento del putsch di Monaco dell’8-9 novembre 1923, fece riferimento alla battaglia: “Marciavamo in silenzio in una fredda e umida notte nelle Fiandre, e non appena il sole iniziò a disperdere la nebbia, ci arrivò un saluto d’acciaio: granate e shrapnel esplodevano tutt’intorno a noi… Sentivamo il rumore metallico del fuoco di fucili, cantando e gridando, e con occhi spiritati ci gettammo avanti e sempre più avanti fino a un corpo a corpo, che si scatenò nei campi di ravizzone. E sentivamo il risuonare di un canto da lontano, che si avvicinava sempre più a noi, passando da una compagnia all’altra, e allora, proprio quando gli uomini stavano morendo tutt’attorno a noi, si diffuse anche nelle nostre file e lo passammo agli altri: “Deutschland, Deutschland, über alles, über alles in der Welt”.
Il futuro dittatore ascriveva anche se stesso alle fila di quei giovani entusiasti che si erano sacrificati senza fare calcoli per la gloria della patria. Questo non corrisponde alla verità, dato che il soldato Hitler non partecipò direttamente allo scontro di Langemarck, anche se era dislocato nelle vicinanze di quella località. Ma ciò non conta. Dopo l’avvento al potere del nazionalsocialismo il mito divenne ancora più forte. Esso fu posto al centro di un complesso sistema di onore verso i caduti della guerra, dei quali il nazionalsocialismo si dichiarava erede diretto. Stando al racconto di Hitler, enfatizzato dalla propaganda, egli stesso aveva fatto parte di quella schiera. Nel novembre 1933 il filosofo Martin Heidegger, rettore dell’università di Tubinga, tenne l’orazione ufficiale per le celebrazioni dell’anniversario. Lo stesso anno un radiodramma scritto da un eroe di guerra, Richard Euringer, intitolato Deutsche Passion 1933, vinse il primo premio per la letteratura nazionale. Due anni dopo fu invece Eberhard Möller a vincere un importante premio letterario con una raccolta di lettere di soldati-studenti caduti. Euringer aveva raccontato la vicenda dei soldati-studenti di Langemarck in toni di sacrificio cristiano. Al costruendo stadio olimpico di Berlino fu annesso uno spazio in memoria dei reggimenti impegnati nella battaglia, per esaltare il nesso fra guerra e sport, fra culto del corpo e culto del sacrificio.
Il capo della gioventù nazionalsocialista, Baldur von Schirach, invitò ufficialmente i giovani non a “parlare” di Langemarck, ma a vivere “Langemarck”. Veniva tracciato così un legame di continuità fra il sacrificio dei giovani in guerra e l’impegno dei giovani nel Terzo Reich. Si gettava un ponte ideale verso coloro che di lì a poco avrebbero combattuto e sarebbero caduti per la Germania nella Seconda guerra mondiale.
Il 29 maggio 1940 un comunicato ufficiale dell’Oberkommando der Wehrmacht annunciava trionfalmente che da quel momento la bandiera del Terzo Reich sventolava sui campi di Langemarck. Pochi giorni dopo lo stesso Hitler rese omaggio al cimitero. La parabola si completava, il riscatto dei caduti di Langemarck era così compiuto: dalla prima Langemarck, alla seconda. Questa volta la Germania vittoriosa riscattava i suoi caduti. I “martiri sono tornati a casa e hanno trovato la pace eterna” proclamava von Schirach nel discorso commemorativo tenuto al cimitero l’11 novembre 1940 davanti a tutti i capi della Hitlerjugend.
Link
https://encyclopedia.1914-1918-online.net/article/langemarck_myth
https://encyclopedia.1914-1918-online.net/article/war_cemeteries_germany
www.langemarck.net
www.greatwar.co.uk.cemetery.langemark
Letture
George L. Mosse, Le guerre mondiali. Dalla tragedia al mito dei caduti, Bari, Laterza, 2005
Ernst Keller, Nationalismus und Literatur: Langemarck, Weimer, Stalingrad, Berna-Monaco, Francke, 1970
Emilio Gentile, Il culto del Littorio: la sacralizzazione della politica nell’Italia fascista, Bari, Laterza, 1995