I profughi trentini nella Grande Guerra. La lacerazione delle comunità in una regione di frontiera

di Francesco Frizzera

“Si sa con certezza, per esempio riguardo al Trentino, che almeno il 70% delle persone allontanate non fu evacuato sulla base di motivazioni economiche o puramente militari, ma sulla base di motivazioni parzialmente militari, cioè per motivi polizieschi, e questi in realtà non furono evacuati – questo è un termine eufemistico – ma esiliati”.
Alcide De Gasperi, discorso al Parlamento di Vienna, 12 luglio 1917

In seguito all’ingresso in guerra dell’Italia contro l’Austria-Ungheria, la porzione meridionale del Trentino si trovò in pochi giorni a cavallo della linea del fronte a causa della ritirata strategica dell’esercito austro-ungarico dalla zona di confine verso posizioni più facilmente difendibili. La popolazione civile residente in questa fascia di territorio si trovò perciò in territorio di guerra, e le autorità militari di entrambi gli Stati dovettero confrontarsi con la problematica del loro trattamento, della loro salvaguardia e della loro potenziale inaffidabilità. I militari austriaci ed italiani adottarono una soluzione analoga per risolvere la questione: allontanare dalla zona del fronte tutte le persone potenzialmente pericolose o che non fossero funzionali allo sforzo bellico. Il risultato fu l’evacuazione di circa 110.000 persone dall’area meridionale del Trentino, in parte allontanate dalle autorità austriache (75.000), in parte da quelle italiane (35.000). Un numero enorme, se si pensa che all’epoca il Trentino contava 380.000 abitanti e che circa 55.000 di questi erano già stati richiamati alle armi.

Le autorità austriache avevano pianificato da tempo l’evacuazione di parte della popolazione trentina residente all’interno delle città fortificate di Trento e Riva, sull’esempio di quanto già accaduto in Galizia. La previsione di spostare nell’hinterland dell’Impero circa 30.000 persone però si rivelò errata. Ciò accadde soprattutto a causa dell’ingerenza dei militari che, tra il 23 maggio ed il 10 giugno 1915, fecero pressioni affinché venissero sfollate più persone possibile. Ne risultò l’allontanamento di circa 75.000 persone, molto spesso nel caos più totale, solitamente con solo 24 ore di preavviso e con soli 5 kg di bagaglio a testa, mediante carri bestiame e senza conoscere la meta di destinazione.

I trentini vennero ripartiti in piccoli gruppi nelle regioni centrali dell’Impero: si ritrovarono così in un territorio 40 volte più vasto della regione d’origine, tra popolazioni di lingua tedesca e ceca, che non sempre accoglievano di buon grado i nuovi arrivati, indirettamente tacciati di “tradimento” e percepiti a volte come competitors per l’accaparramento delle scarse risorse alimentari. La dispersione in più di 2500 villaggi di Moravia (18.622 profughi), Boemia (16.390 profughi), Austria Inferiore (14.910 profughi), Austria Superiore (10.153 profughi), Salisburghese (1.851 profughi) e Tirolo (13.500 profughi) serviva a garantire il controllo e l’approvvigionamento dei nuovi arrivati.

L’elemento che più caratterizzò l’esperienza del profugato in Austria-Ungheria va però individuato nella particolare forma che assunse lo stanziamento dei trentini in Bassa Austria ed Alta Austria. In queste regioni, venendo incontro alle richieste della popolazione locale e per razionalizzare l’approvvigionamento alimentare e lo sfruttamento della forza lavoro dei rifugiati, furono creati due campi profughi di grandi dimensioni a Mitterndorf e Braunau am Inn. Questi contenevano rispettivamente 10.500 e 8.000 persone, e qui venivano inviate le famiglie numerose, gli inabili al lavoro e gli elementi che potevano turbare l’ordine pubblico. Le tristi condizioni sanitarie delle “città di legno” e le misure restrittive delle libertà personali vigenti rappresentarono il punto più basso dell’esperienza di profugato dei trentini in Austria.

Un discorso analogo vale per i 35.500 trentini che vennero sfollati in Italia, con l’eccezione di quelli (circa 8000) che decisero di riparare nel Regno volontariamente. Tra il 1914 ed il maggio 1915 infatti circa 5.000 trentini attraversarono il confine dell’Impero per rifugiarsi in Italia. Parte di questi emigrò per ideali irredentistici (è il caso dei circa 750 volontari trentini nell’esercito italiano e dei rappresentanti dei partiti liberali, solitamente indicati come “fuoriusciti”), parte disertando dall’esercito austro-ungarico, parte per opportunismo. A questi vanno aggiunti circa 3.000 soldati trentini dell’esercito austro-ungarico, fatti prigionieri dai russi e rimpatriati in Italia tra il 1916 e il 1918 sulla base di un accordo bilaterale Italia-Russia.

Ad eccezione di questi, che per i motivi più svariati optarono per rifugiarsi in Italia, gli altri abitanti del Trentino meridionale vennero allontanati con la forza dall’autorità militare italiana: si tratta di circa 27.000 persone, evacuate a più riprese tra il 1915 ed il 1916, che furono a tutti gli effetti trattate come profughi o confinati, al pari di quanto accadde all’interno dell’Impero austro-ungarico. Essi non poterono infatti scegliersi liberamente una dimora, vennero dislocati indifferentemente in tutto il Regno (6.131 profughi nel Nord-Est, 21.701 nel Nord-Ovest e 8.058 nel Centro-Sud), furono soggetti ad un controllo poliziesco e il loro trattamento si mostrò in molti casi peggiore rispetto a quello dei profughi veneti riparati in Italia dopo la rotta di Caporetto. Malgrado la dispersione geografica fosse minore rispetto a quella dei profughi dislocati in Austria-Ungheria e la situazione alimentare leggermente migliore per l’assenza del blocco navale alleato, l’impreparazione dello Stato italiano all’alloggiamento dei profughi, le lentezze burocratiche nell’erogazione dei sussidi, la diffidenza generalizzata nei confronti degli stranieri e le condizioni precarie degli alloggi nelle piccole comunità del Centro-Sud Italia resero l’esperienza del profugato a Sud del fronte non meno traumatica di quella dei trentini evacuati in Austria, Boemia e Moravia.


Gallery

Mitterndorf. Entrata del campo profughi [AF MSIGR 294/169]
Mitterndorf. Visuale dall’alto [AF MSIGR 123/154]

Biografia

Henry Gwyn Jeffreys Moseley

Nato a Weymouth il 23 novembre 1887, fu un fisico inglese. Nel 1910 si laureò in fisica al Trinity College di Oxford. Dopo aver conseguito la laurea si trasferì a Manchester ed entrò a far parte del team di ricerca di Ernest Rutherford, considerato il padre della fisica nucleare e vincitore del premio Nobel per la Chimica nel 1908, con cui lavorò fino al 1913. Nello stesso anno enunciò quella che sarebbe passata alla storia come “Legge di Moseley”, frutto dei suoi esperimenti nel campo della spettroscopia a raggi X. Con lo scoppio del primo conflitto mondiale Moseley entrò nelle forze armate, perse la vita nella battaglia di Gallipoli il 10 agosto 1915.

(Per approfondimenti:  J. L. Heilbron (a cura di), H. G. J. Moseley : the life and letters of an english physicist, 1887-1915, University of California Press Berkeley and Los Angeles, California, 1974).

 

Albert Einstein

Nacque a Ulma nel 1879. Trascorse la sua infanzia a Monaco e in Italia per poi trasferirsi con la famiglia in Svizzera. Nel 1900 si laureò e ottenne l’abilitazione all’insegnamento della matematica e della fisica e nel 1905 conseguì il dottorato. Quattro anni dopo Einstein ottenne il primo incarico accademico nell’università di Zurigo dove lavorò fino al 1914 quando si trasferì a Berlino per diventare membro dell’Accademia prussiana delle scienze, direttore del Kaiser Wilhelm Institut e professore. Due anni dopo il trasferimento a Berlino, pubblicò "I fondamenti della teoria della Relatività generale", risultato di dieci anni di studio. Questo lavoro è considerato dallo stesso Einstein il suo maggior contributo scientifico e si inserisce nella sua ricerca rivolta alla geometrizzazione della fisica. Grazie ad un’eclissi solare nel 1919, le teorie di Einstein trovarono alcune conferme e la sua fama si affermò anche al di fuori del mondo accademico e scientifico. Nel 1921 ricevette il premio Nobel per la fisica.

A dispetto del crescente clima di tensione e delle idee antisemite sempre più diffuse, Einstein rimase a Berlino fino al 1933, anno in cui si trasferì a Princeton, dove rimase per il resto della sua vita.  Con lo scoppio del secondo conflitto mondiale il fisico iniziò ad impegnarsi attivamente nello sforzo bellico statunitense contribuendo alla costruzione della bomba atomica. Nonostante il suo impegno durante la guerra, dopo il 1945 Einstein si schierò contro la proliferazione delle armi nucleari.

Negli ultimi anni della sua vita si dedicò alla ricerca riguardo all’unificazione della gravità e dell’elettromagnetismo. Nel 1950 pubblicò i risultati delle sue ricerche sulla rivista Scientific American.

Il 17 aprile 1955 Einstein fu colpito da un aneurisma dell’aorta addominale, ricoverato d’urgenza morì nelle prime ore del mattino del 18 aprile. Come da disposizioni dello scienziato, il suo corpo fu messo a disposizione della scienza. Il patologo incaricato di effettuare l’autopsia rimosse il cervello e lo conservò in un barattolo nascosto nella propria abitazione per circa 30 anni. Dopo il rinvenimento del reperto i discendenti del fisico acconsentirono che il cervello venisse sezionato in numerose parti donate a importanti ricercatori, quella più consistente è conservata a Princeton.

(Per approfondimenti: A. Pais, Einstein è vissuto qui, Bollati Boringhieri, Torino, 1994; Id.  La scienza e la vita di Albert Einstein, Bollati Boringhieri, Torino, 1986)

Karl Schwarzschild

Nacque a Francoforte sul Meno il 9 ottobre 1873, fu un importante matematico, astronomo e astrofisico. Nel 1893 conseguì la laurea in astronomia all’Università di Strasburgo e nel 1896 ottenne il dottorato dall’Università di Monaco. Nei tre anni successivi lavorò a Vienna come assistente all’osservatorio Kuffner. Nel 1901 ottenne il posto di direttore dell’osservatorio astronomico di Gottinga. In questi anni Schwarzschild entrò in contatto con numerosi scienziati, quali David Hilbert e Hermann Minkowski. Questo è il periodo in cui le sue ricerche lo condussero a scoprire quello che diventò famoso come “l’effetto Schwarzschild”, metodo fotometrico usato tutt’oggi per individuare e fotografare le stelle più distanti. In seguito ai suoi successi scientifici divenne direttore dell’osservatorio astrofisico di Potsdam. Nel 1915 Albert Einstein scoprì le equazioni di campo della relatività generale: dopo la loro pubblicazione attraverso l’Accademia delle scienze prussiana, Schwarzschild inviò a Einstein un articolo contenente la soluzione di una prima equazione. Era il 16 gennaio 1916.

Dopo lo scoppio del primo conflitto mondiale Schwarzschild si arruolò volontario, nei primi mesi di guerra fu tenuto nelle retrovie del Belgio occupato, ma nel 1916 fu inviato sul fronte orientale. Dopo poche settimane di permanenza in trincea si ammalò gravemente, fu trasferito a Potsdam dove morì l’11 maggio 1916.

(Per approfondimenti: The Abraham Zelmanov Journal. The journal for General Relativity, gravitation and cosmology, Vol. 1, 2008.)


Link

http://encyclopedia.1914-1918-online.net/article/Refugees
http://encyclopedia.1914-1918-online.net/article/Resettlement
https://encyclopedia.1914-1918-online.net/article/refugees_austria-hungary


Letture

F. Frizzera, Cittadini dimezzati: i profughi trentini in Austria-Ungheria e in Italia, il Mulino, Bologna, 2018
Gli spostati. Profughi, Flüchtlinge, Uprchlíci. 1915-1919, Vol. 1 Fotografarsi. Scriversi, vol. 2 La storia, Laboratorio di Storia Rovereto, Presidenza del Consiglio della Provincia autonoma di Trento, Trento 2015
D. Leoni, C. Zadra, La città di legno. Profughi trentini in Austria (1915-1918), Trento, Temi, 1981
Scritture di guerra, Museo Storico in Trento – Museo Italiano della Guerra in Rovereto, voll. 4-5, 1996
L. Palla, Il Trentino orientale e la Grande Guerra. Combattenti, internati, profughi di Valsugana, Primiero e Tesino (1914-1920), Trento, Museo Storico in Trento, 1994