Alle origini del bombardamento aereo: visioni diverse a confronto

di Luca Gabrielli

“Dall’alto si vede bene e dall’alto si colpisce facilmente”.
Giulio Douhet

L’inizio del 1915 riservò un’amara scoperta alle popolazioni già provate da quasi sei mesi di guerra: la notte del 19 gennaio, due dirigibili tedeschi Zeppelin compivano il primo bombardamento aereo su civili della storia, sganciando bombe e ordigni incendiari sulle cittadine di Great Yarmouth e King’s Lynn, nel Norfolk. Questa prima incursione tedesca su suolo britannico provocò sei vittime e, soprattutto, un’enorme impressione nell’opinione pubblica, che bollò subito l’attacco come un atto di inutile barbarie. I dirigibili con cui fu compiuto il raid rappresentavano l’ultima evoluzione di un mezzo aereo di successo sviluppato dal conte Ferdinand von Zeppelin (1838 – 1917): al primo dirigibile Zeppelin, alzatosi in volo il 2 luglio 1900, ne erano seguiti altri 24 fino allo scoppio della guerra, proficuamente impiegati sia per voli civili sia per la ricognizione e il bombardamento. Dopo il raid compiuto sulle due cittadine costiere, simili azioni proseguirono anche nei mesi e anni successivi, raggiungendo anche Londra, colpita per la prima volta il 31 maggio 1915. Quella britannica fu così la prima popolazione a dover convivere con la minaccia incombente di una morte in arrivo dal cielo e di una guerra combattuta non più solo sui campi di battaglia, ma anche sulla soglia di casa.

I bilanci stilati dopo la fine della guerra parlano di 556 morti e 1357 feriti per i raid compiuti dagli Zeppelin: un tributo non lieve, che tuttavia non dimostra l’efficacia dei dirigibili per il bombardamento aereo; è vero anzi l’esatto opposto. In effetti, i vantaggi che all’inizio della guerra erano riconosciuti a questi mezzi (la capacità di carico, l’ampio raggio d’azione) furono eclissati dalle contromisure prese negli obiettivi a rischio, come l’addestramento della popolazione, l’uso dei blackout – che rendevano di fatto casuale il lancio degli ordigni – oppure lo sviluppo della contraerea, nonché dalle crescenti prestazioni degli aeroplani da caccia, rispetto ai quali i dirigibili restavano assai vulnerabili. L’evoluzione del conflitto decretò quindi il sostanziale superamento del dirigibile, e con esso del mezzo aereo “più leggero dell’aria”, da parte dell’aeroplano ossia del “più pesante dell’aria”.

Gran parte di questa storia, tuttavia, era stata già scritta ben prima dello scoppio della guerra dall’italiano Giulio Douhet (1869-1930), tuttora annoverato fra gli autori classici della dottrina militare moderna. Sin da una serie di articoli pubblicati nel 1910, Douhet aveva ipotizzato un rapido progresso nelle costruzioni aeronautiche, in particolare per l’aereo a motore che nel giro di pochi anni avrebbe surclassato il dirigibile sia per il trasporto di persone e cose, sia per l’uso offensivo in guerra: un’analisi di lucidità sorprendente, se si considera che essa risale ad un momento storico in cui il dirigibile pareva riscuotere le migliori affermazioni mentre l’aeroplano a motore rappresentava ovunque un mezzo sperimentale dalle incerte prestazioni. Con notevole lungimiranza rispetto a quanto sarebbe accaduto entro un quinquennio, Douhet prevedeva inoltre che l’impiego dell’aeroplano in guerra si sarebbe tradotto in tre specializzazioni: ricognizione, bombardamento e caccia. Infine – ed è questo il contributo più originale alla strategia militare contemporanea – Douhet formulava per la prima volta il concetto di “dominio dell’aria” inteso come obiettivo strategico totalizzante, di per sé in grado di determinare la vittoria in guerra. Di qui scaturiva l’appello affinché l’Italia abbandonasse ogni investimento sui dirigibili e puntasse invece con decisione su una produzione di aeroplani diretta dallo Stato e mirata al conseguimento del primato dei cieli.

La dottrina del “dominio dell’aria” fu perfezionata da Douhet prima e durante la Grande Guerra, fino alla pubblicazione definitiva, recante questo titolo, avvenuta nel 1921. Il bombardamento aereo rappresenta il nodo principale della teoria, quale mezzo indispensabile per condurre in breve tempo alla vittoria, annientando le forze aeree avversarie e colpendo il nemico oltre le linee del fronte: obiettivi militari, vie di comunicazione, industrie, ma anche infrastrutture in genere e, non ultimi, centri abitati. Douhet è consapevole dei connotati terroristici che il bombardamento degli obiettivi civili avrebbe assunto: egli ha riflettuto su questo punto, sia in sede teorica, sia a seguito degli episodi di bombardamento su civili quali quelli avviati dalla Germania nel 1915. La sua conclusione è però netta: una guerra pur brutale anche verso i civili, ma breve, sarà di gran lunga preferibile ad una lunga guerra di trincea quale quella che l’Europa vive fra il 1914 e il 1918. È noto che le implicazioni di questa dottrina, inquietanti per il loro stesso autore, acquisteranno lampante chiarezza solo durante la Seconda guerra mondiale. Già durante la Grande Guerra, tuttavia, il pensiero di Douhet trovò la sua prima applicazione pratica nella realizzazione, ad opera di Gianni Caproni - protagonista di un essenziale sodalizio con Douhet - del primo aeroplano da bombardamento. Il prototipo fu avviato a costruzione nel 1913 ed effettuò il primo volo nell’ottobre 1914: si trattava di un biplano trimotore (due motori traenti nelle travi di coda, un motore spingente in fusoliera) a struttura mista, di apertura alare di quasi 23 metri, oggetto di continue evoluzioni con differente motorizzazione. Malgrado le resistenze che il progetto di produzione su vasta scala di bombardieri incontrò presso gli alti comandi militari italiani, dal 1916 l’aviazione da bombardamento italiana costituita da aeroplani di produzione Caproni guadagnò un peso sempre crescente nella conduzione del conflitto, fino a diventare un modello invidiato e imitato da tutte le nazioni dell’Intesa. Dalla collaborazione fra Giulio Douhet e Gianni Caproni nasceva così non solo una parte importante dell’aviazione della Grande Guerra, ma l’idea stessa di strategia aerea che appartiene tuttora alla dottrina e alla prassi militare.


Gallery

Vista del Bombardiere biposto Ca 31. 1914 [Achivio fotografico Gianni Caproni, Museo dell'Aereonautica (Trento)]
Gianni Caproni. Brevetto dell'aereo bombardiere bimotore. 11 febbraio 1914 [Achivio fotografico Gianni Caproni, Museo dell'Aereonautica (Trento)]

Testimonianze

Giulio Douhet

Giulio Douhet (Caserta 1869-1930), laureato in ingegneria al Politecnico di Torino e divenuto ufficiale del Genio militare, si interessò precocemente alle possibili applicazioni militari del mezzo aereo e nel 1911 partecipò alla guerra italo-turca in Libia, nel corso della quale si registrarono il primo impiego bellico dell’aviazione e il primo esperimento di bombardamento aereo della storia. Comandante del Battaglione aviatori dell’esercito dal 1913 al 1914, si adoperò attivamente per il miglioramento del materiale di volo e per lo sviluppo dell’aviazione da bombardamento, a favore della quale sostenne nell’autunno 1914 l’affidamento a Gianni Caproni di un ordinativo per la produzione di bombardieri biplani. Le tensioni createsi con i suoi superiori attorno al ruolo dell’arma aerea nella dinamica del conflitto ne determinarono l’esonero dal comando del Battaglione nel 1914; in seguito, le aspre critiche verso gli alti comandi in merito alla gestione delle operazioni belliche, e soprattutto le dure prese di posizione nei confronti del Capo di Stato Maggiore dell’esercito Luigi Cadorna, lo condussero a subire un processo e la condanna ad un anno di fortezza. Rientrato in servizio, operò fino al giugno 1918 come capo della direzione generale dell’aviazione, cui era affidato in particolare il programma industriale – rimasto poi incompiuto – che avrebbe dovuto condurre l’Italia a dotarsi di una potente flotta di aerei da bombardamento. Nel dopoguerra si dedicò a un’intensa attività pubblicistica e alla stesura di opere teoriche, che riprendevano e precisavano indirizzi già anticipati negli anni precedenti.

Giulio Douhet discute nel 1910 il futuro dell’aviazione, prevedendo il tramonto del dirigibile e l’affermazione dell’aeroplano. Passi tratti da: Giulio Douhet, I problemi dell'aeronavigazione

“ Tutti i perfezionamenti non toglierebbero mai al dirigibile l’inconveniente di presentare un grande volume e di non essere pesante […] e non impediranno mai al dirigibile di essere naturalmente fragile, di non poter posare con sicurezza sulla terra. Immaginate un’aquila che pesi zero. Potrebbe essa volare? Certamente che no. Potrebbe bensì muoversi, e chi sa come, nell’aria, ma tutte le volte che volesse posarsi dovrebbe fortemente aggrapparsi cogli artigli al suo sostegno per non essere trascinata e sbattuta contro gli ostacoli a ogni spirar di vento. […] Alcuni ritengono costituire una superiorità pel dirigibile quella di poter elevare nell’aria pesi superiori a quelli che possono innalzare gli aeroplani; sono coloro che si impressionano leggendo che uno Zeppelin può trasportare venti passeggeri oltre il personale di manovra. Prima di tutto il peso sollevabile non è una qualità del volo. Una rondine vola meglio di un’anatra domestica, per quanto l’anatra pesi più della rondine e voli essa pure in certe determinate circostanze; in secondo luogo, bisogna considerare quale immane monumento […] sia un tale Zeppelin in confronto anche con dieci aeroplani capaci, ognuno, di trasportare due passeggeri oltre l’aviatore. L’uomo giungerà, dunque, certamente a volare, nel vero e proprio significato della parola, ma con l'aeroplano, non col dirigibile. […] Tutto quello che ho scritto finora, l’ho scritto per cercare di dimostrare, essenzialmente, le seguenti due verità per me indiscutibili […]:

1. L'aeroplano è, oggi, l’unico apparecchio che prometta – e lo prometta a breve scadenza – una completa risoluzione del problema del volo; ed è, perciò, l’unico apparecchio che si presenti adatto alla guerra aerea.

2. La guerra aerea, intendendo con queste parole qualche cosa di simile alla guerra terrestre o marittima, ma che si svolga nell’aria, è inevitabile, nel senso che nell’avvenire, se ci batteremo, ci batteremo anche nell’aria.

[…] Qualunque sforzo si possa fare per conservare il dirigibile riuscirebbe, più che inutile, dannoso. […] Altre nazioni costruiscono dirigibili. Facciano pure. Buon per noi. […] E’ necessario, dunque, che noi impariamo a volare con l'aeroplano. E nel dire noi intendo: noi italiani […]. Interessa essenzialmente alla difesa del nostro paese che si apprenda a volare. […] Sorgano anche in Italia fabbriche di aerei, […] e come non potremo sperare che l’Italia, già vittoriosa nel campo automobilistico, non riesca a gareggiare nell’industria similiare del più pesante?

Bibliografia
G. Douhet, La Preparazione, Roma, Tip. “Roma” di Armani e Stein, 1910.


Biografia

Ferdinand von Zeppelin

Il conte Ferdinand von Zeppelin (1838-1917) appartiene alla schiera dei geniali pionieri, in fin dei conti sfortunati. Membro dell’alta aristocrazia del Württemberg, seguì la carriera militare nell’arma aristocratica per eccellenza: la cavalleria. Attirato dagli esperimenti dell’aviazione con i palloni aerostatici, a partire dagli anni ’80 iniziò a studiare il problema di come fosse possibile costruire palloni aerostatici a struttura rigida manovrabili. Le sue idee furono inizialmente considerate irrealizzabili, suscitando ironia nei confronti di Zeppelin, che nonostante gli insuccessi proseguì sulla sua strada. Le prime ascensioni furono compiute da Zeppelin nel 1900, sul lago di Costanza, dove abitava.

L’ironia si trasformò ben presto in entusiasmo popolare, rinfocolato dalla commozione per l’incidente di uno dei primi dirigibili Zeppelin, nel 1908. Venne addirittura lanciata una sottoscrizione popolare, che diede a Zeppelin i fondi necessari per costituire una società e lanciare in grande stile la costruzione di dirigibili. Era l’epoca in cui i successi della tecnica suscitavano meraviglia e la conquista dell’aria era uno dei campi più attrattivi per il pubblico.

Dal 1909 grandi dirigibili Zeppelin percorsero regolarmente rotte transoceaniche per trasporto passeggeri. Fino allo scoppio della guerra i dirigibili avevano compiuto senza incidenti 1.500 viaggi, trasportando complessivamente più di 35.000 persone.

Allo scoppio della guerra l’esercito prussiano ritenne di sviluppare la costruzione di dirigibili Zeppelin da usare per voli ad alta quota sia come osservatori che come bombardieri.  I risultati furono però modesti: i dirigibili erano in grado di trasportare un numero di bombe limitato ed erano altamente vulnerabili ai tiri contraerei. Ciononostante, anche per assecondare l’entusiasmo popolare verso questo gigante dell’aria ne furono costruiti ben 123. Furono organizzati voli di bombardamento su Londra e Parigi, soprattutto per suscitare la paura collettiva. L’altitudine a cui gli Zeppelin erano costretti a volare riduceva fortemente l‘efficacia dei bombardamenti.  In 51 attacchi contro l’Inghilterra i dirigibili sganciarono circa 5.800 bombe, che provocarono la morte di 550 persone (e il ferimento di altre 1.350). I danni materiali inferti all’Intesa furono piuttosto ridotti.

La flotta degli Zeppelin venne invece decimata:40 furono abbattuti dal nemico, 39 andarono perduti per guasti tecnici e 31 dovettero essere rottamati perché ormai inservibili. Più efficaci si dimostrarono gli Zeppelin come punti mobili di osservazione aerea, soprattutto sui mari. Di fronte a questo smacco, nel 1917 gli Zeppelin furono ritirati dal servizio. Il loro ideatore morì nel marzo dello stesso anno. La storia di successo degli Zeppelin riprese però nel dopoguerra, quando furono nuovamente impiegati come lussuosi mezzi di trasporto o per battere record, come la prima circumnavigazione del globo.


Link

http://www.itinerarigrandeguerra.it/La-Comparsa-Degli-Aerei-Nella-Prima-Guerra-Mondiale
http://www.instoria.it/home/intervista_generale_basilio_di_martino.htm
http://www.icsm.it/articoli/ri/douhet.html


Letture

Giulio Douhet, Il dominio dell’aria e altri scritti, a cura e con un saggio introduttivo di Luciano Bozzo, Roma, Ufficio Storico dell’Aeronautica Militare, 2002
Paolo Miana, I bombardieri Caproni nella Grande Guerra: senza cozzar dirocco, Varese, Macchione, 2007