Il servizio sanitario militare

di Anna Grillini

La Grande Guerra fu il primo conflitto in cui le morti per ferite superarono notevolmente quelle per malattia, ciò comportò la creazione di un apparato sanitario senza precedenti, basato sullo sgombero rapido ed efficiente dei feriti operato grazie alle ferrovie.

Le sfide che i servizi sanitari di tutti gli eserciti dovettero affrontare furono principalmente quelle che oggi sono riconosciute come le principali caratteristiche della Grande Guerra: la scarsa igiene, le malattie portate dal logoramento e dall’immobilità e la grande mobilitazione di uomini e mezzi. Tutte queste peculiarità comportarono l'organizzazione di un sistema sanitario senza precedenti nella storia militare europea. La Grande Guerra fu il primo conflitto in cui le morti per ferite superarono notevolmente quelle per malattia. Fino a quel momento i soldati morivano per la fatica, la scarsità di cibo, la mancanza d’igiene, le epidemie e le malattie veneree; chiara dimostrazione di questa tendenza è la guerra civile americana, durante la quale l'esercito dell'Unione aveva perso 96.000 uomini in battaglia e 183.000 per malattia. Tale inversione non era dovuta a un miglioramento delle condizioni di vita dei soldati: l'immobilità all'interno della trincea logorava sia il fisico che la mente, durante l'inverno le malattie polmonari e i reumatismi mietevano vittime mentre in estate la morte si diffondeva grazie a infezioni intestinali e malattie veneree. Ciò che si modificò fu l'efficienza dell'organizzazione sanitaria e della medicina, insieme al generale miglioramento delle condizioni di vita delle popolazioni nel corso del XIX secolo. Ai passi avanti della scienza medica corrispose un avanzamento delle tecnologie offensive belliche, divenute più letali e meno “personali”: la baionetta, la sciabola e il fucile non erano più le principali armi offensive. Ecco quindi che le cause prime di morte non erano più le malattie ma le ferite.     
Nonostante questa inversione di rapporto, le malattie rappresentavano comunque un serio problema che, se trascurato, rischiava di rendere inservibili interi reparti. Le patologie epidemiche rappresentavano una delle maggiori minacce alla tenuta delle armate, tra le più diffuse erano il colera, il tifo, la malaria, il vaiolo, la meningite e, ovviamente, le malattie veneree. Fin dalle prime settimane del conflitto l’esercito si impegnò in una imponente opera di profilassi attraverso l’applicazione di precise norme igieniche e la sensibilizzazione della popolazione e dei soldati.
La prima seria epidemia fu quella di colera che interessò i soldati del 40° fanteria del X Corpo d’Armata a partire dal luglio del 1915. In circa un mese la malattia si diffuse tra le truppe di linea, di retrovia e tra la popolazione civile. La crisi rientrò solamente all’inizio del 1916 quando ormai il numero di contagiati nella zona della operazioni superava i 16.500 e il numero di morti i 4.500. 
Le malattie veneree venivano combattute attraverso una stretta vigilanza sulle prostitute, quelle infette o ritenute tali erano immediatamente allontanate; a partire dalla metà del 1916 i militari sono obbligati a sottoporsi a visite sanitarie e vennero istituite case di tolleranza controllate dagli ufficiali medici.
Durante il conflitto vi furono varie epidemie di tifo, di vaiolo e di tubercolosi e nel 1918 arrivò anche la “spagnola”. Quest’ultima colpì a primavera con un altissimo numero di contagiati (25.000) ma pochi decessi, un seconda fase dell’epidemia iniziò alla fine di luglio e proseguì per tutto l’autunno e l’inverno arrivando a colpire un italiano su sette e a uccidere un ammalato su dodici.  

Il servizio sanitario bellico si realizzò attraverso la creazione di un enorme apparato, anche burocratico, e di un'intricata gerarchia di uffici e sezioni militari e civili. Al vertice ultimo della gerarchia era posto il Comando Supremo, da cui dipendeva direttamente l'Intendenza generale, responsabile di tutti i servizi e i rifornimenti per l'esercito all'interno della zona di guerra. All'inizio del conflitto l'Intendenza generale era composta di uno stato maggiore e di cinque sezioni ma nel corso dei mesi si ampliò fino ad avere un intendente generale, con una propria segreteria alle cui dipendenze si trovavano il capo e il sottocapo di stato maggiore; dall'intendente generale dipendevano numerosi uffici e ispettorati, ricordando solo i principali: la direzione trasporti; l’ispettorato delle retrovie e quello del genio civile, l’ufficio del medico ispettore, la delegazione della Croce Rossa e ancora altri.
Meno complesso dal punto di vista burocratico ma sicuramente di più dal punto di vista pratico era l'organizzazione dello sgombero e ricovero feriti, organizzato in quattro zone:

I Zona, dei corpi d'armata. Tale area era compresa nella zona delle operazioni ed era adibita per la cura dei feriti e malati lievi, intesi come tali quei soggetti non necessitanti di una degenza superiore ai dieci giorni, e per i bisognosi di cure particolarmente urgenti. 

II Zona, delle intendenze. L'area era situata immediatamente fuori dalla zona delle operazioni, quindi ancora in zona di guerra, ed era destinata a degenze non superiori ai venti giorni.   

III Zona, di primo sgombero o contumaciale. Tale area era situata in zona di guerra ma nella zona delle retrovie che era il settore più lontano dalle operazioni ma ancora compreso nella zona di guerra. Vi erano trasportati i feriti e i malati bisognosi di una degenza non superiore ai trenta giorni.

IV Zona, di secondo sgombero. L'area era identificabile con qualsiasi parte del territorio nazionale non compreso nella zona di guerra ad essa erano destinati i militari necessitanti di cure superiori a trenta giorni che però, per ragioni profilattiche, venivano inizialmente trattenuti nella zona di primo sgombero.  

La spina dorsale di questa organizzazione sanitaria militare erano le ferrovie. I feriti e i malati venivano allontanati dal fronte a bordo di treni merci, treni passeggeri, vetture di terza classe o treni ospedali della Croce Rossa Italiana e del Sovrano Militare Ordine di Malta. Con tali mezzi si organizzava lo spostamento dei feriti tra le quattro zone sanitarie e a tale compito si doveva sommare il trasporto di un numero sempre crescente di soldati verso le prime linee. 


Gallery

 Un treno della Croce Rossa in partenza per il fronte [AF MISGR 360/113]
Un ospedale da campo italiano [AF MISGR 1/257]

Testimonianze

Soldati matti o soldati che “fanno” i matti?

La figura del soldato folle, impazzito, smemorato, ammutolito, che non riconosce gli altri ed è divenuto irriconoscibile, fu un prodotto specifico della Grande Guerra, un’espressione inedita del conflitto in corso. I soldati che “impazzivano” sembravano compiere un tentativo di porsi al di là di ogni possibile rapporto umano, nascondendosi e fuggendo nella catatonia. Tutti apparivano in preda ad un terrore costante, implacabile, che si ravvivava a ogni minima occasione e coinvolgeva tutto il corpo. I soggetti visitati avevano in comune una prolungata esperienza di trincea, avevano subìto incessanti bombardamenti, erano stati travolti da esplosioni e sepolti sotto le macerie (il cosiddetto Shell shock), oppure avevano visto cadere numerosi compagni accanto a sé. Ciononostante in alcuni soldati la causa scatenante della follia poteva essere costituita anche da una banale ferita.   

«Quaderni di psichiatria» a commento di uno studio pubblicato su «Paris médical» nel 1916.
Le truppe belligeranti presentano (…) una notevole frequenza di quelle reazioni da alienati, che costituiscono anche in tempo di pace la caratteristica della criminalità militare. Tali sono la diserzione, l’abbandono del posto, il rifiuto di obbedienza, la distruzione degli effetti militari, la evasione, l’incendio di fabbricati, la ribellione, le violenze, le vie di fatto, ecc. Esaminando i soggetti di questi reati, il perito psichiatra si trova per lo più dinnanzi a dei frenastenici o deboli di mente, a dei psicopatici confusi, a dei deliranti di interpretazione, a dementi precoci; per cui la imputazione viene sanata per infermità mentale e l’esito della perizia porta il soggetto in manicomio.

Ricostruzione della vicenda di un soldato ventitreenne, trovato nudo a girovagare in una piazza di Milano.
Fu destinato al fronte sin dall’inizio della guerra. Partecipò a tutti i combattimenti di luglio al S. Michele, del Trincerone al 4 luglio e successivo contrattacco durato 37 ore. Pare che sino al 31 luglio siasi comportato da buon soldato. In quella giornata si allontanò senza permesso dal posto in cui era comandato e da allora si sarebbero iniziati i disturbi psichici.

Cartella clinica di Luigi E., falegname di Cortina d’Ampezzo, ferito in battaglia per l’esplosione di una granata nel 1916 e internato prima a Padova e in seguito a Borgo Valsugana.
CAUSA: spaventi. ERED: + padre alcool. ANAMNESI: Il padre alcoolista è morto, la madre vive, è sana, nella famiglia tendenza all'alcoolismo. Fu sempre sano e bravo scolaro. In guerra fu ferito ad un dito per l‘esplosione di una granata. Dal L-I9I6 pauroso, taciturno, allucinato. Proviene dal manicomio di Padova dove si trovava fino dal I.II.19. Lì era in uno stato di avanzata demenza, depresso, apatico a periodi eccitato disordinato ed impulsivo. Demenza precoce ebefrenica. STATO PSICHICO: All’entrata nell‘istituto era quieto stava in compagnia di un infermiere del manicomio di Padova. Senza proferir verbo e senza far resistenza entrò nel reparto, si spogliò. Andò a letto mangiò da sé, si tenne pulito. Alla visita medica giace apaticamente a letto si cura poco dell‘ambiente, alle domanda rivoltegli non risponde, presenta un aspetto inebetito. A tratti scioccamente sorride, invitato far dei movimenti li eseguisce, se gli si presentano degli oggetti li guarda, poi sorride senza parlare, se scoperto non tenta affatto di ricoprirsi. STATO SOMATICO: Statura media un po’ pallido, ben nutrito, cranio appiattito, fronte bassa, pupille eguali reagenti, denti rachitici, polso radiale regolare, unghie rosicchiate, polmoni e cuore sani, all‘estremità inferiori cicatrici da foruncoli, riflessi vivi. 
29.XII. Oggi lordò e bagnò a letto. 
1922 3.III. Quieto di pochissime parole, si tiene pulito mangia da se non è visibilmente allucinato, non minaccioso. 
17. V. Stato invariato demenza profonda non parla si tiene pulito mangia da sé non è pericoloso né minaccioso. 
27.VI. Dimesso come stazionario consegnato al fratello.
 

Tuttavia a fianco della folta schiera di soldati che accusavano sintomi più o meno gravi di squilibri mentali, si affiancava una altrettanto larga schiera di militari che “facevano i matti”, simulando vari disturbi mentali. Rispetto all’autolesionismo, fingersi folli era a tutti gli effetti il modo più efficace per sottrarsi alla guerra. Nel descrivere il proprio stato i soldati sottolineavano in particolare precedenti disturbi accorsi in età infantile e adolescenziale, oppure eventuali tare ereditarie di parenti vicini e lontani. Un soldato veneziano, Vincenzo Ferruccio P. fu Giuseppe, 22 anni, ricoverato presso l’ospedale psichiatrico di Cogoleto (Genova), in un suo memoriale destinato al direttore dell’istituto scriveva:
Nacqui il 27 febbraio 1894, da madre e padre che soffrono di tensione nervosa, mia madre sovente è presa da forti mal di capo da non comprendere, soffre di nevralgie e di giramenti di capo che in circostanze perde completamente la raggione (…). Sua madre è morta da un eccesso cardiaco, e credo che mia madre ne soffre, si arrabbia da cose da nulla ed è presa da scatti nervosi, mio padre è un essere nervoso qualche volta viene preso da accessi che durano dai 20 ai 30 minuti (…) gode ottima salute. I miei fratelli soffrono la stessa tensione (…) Io dall’età di 17 per una scommessa con amici (per far vedere chi ha il fisico più forte) presi mezzo litro di Rum e dopo qualche ora persi completamente la raggione, e rimasi incosciente circa due giorni, e da quel giorno non presi più nessun liquido alcoolico stetti sempre di salute ottima da quel giorno mi cominciarono i mal di capo da non comprendere più nulla, mi vennero spesso molte emoreggie nasali che in certi casi si dovete rincorrere ad un medico per cessare l’emoreggia mi vennero spesso scatti nervosi, mi arrabbiavo per un no-nulla.

La psichiatria di allora definiva tali aspetti morbosi come “Gentilizio tarato”, ovvero l’ereditarietà dai genitori ai figli dei disturbi mentali o la predisposizione ad essi. Proseguendo il memoriale egli si dilungava nei suoi comportamenti durante il servizio militare, caratterizzati da eccitamenti improvvisi, perdita d’appetito, pianti, fino all’episodio della paralisi facciale e balbuzie emotiva – provocata dall’esplosione di una granata - descritta dai medici come “infermità permanente da causa di servizio”. Lo shock da granata è tale che:
da quel giorno li accessi nervosi venivano di frequente (…) il fatto è che venivo meno nel morale (…) dopo questa disgrazia di sovente mi arrabbio in un modo tale che quando voglio parlare la mia lingua si paralizza, non potendo esprimermi, mi eccitavo di più e da quell’eccitamento si forma due odi nella gola ed allora ho bisogno di un’applicazione Eletrica per farmi parlare (…)
Il memoriale si concludeva con un suggerimento sulla terapia da intraprendere: 
in tutte queste circostanze ho compreso che avrei bisogno di calma e di star tranquillo e con questo sistema potro sperare di guarire completamente ma certo che occorera 2, o, 3, anni e per avere la trancuilità bisogna che stia lontano dalle confusioni (…) debbo essere in mezzo alla solitudine.
Non è dato sapere se il soldato soffrisse effettivamente di qualsivoglia disturbo mentale o fosse un simulatore, tuttavia è evidente come nella sua condizione di folle egli vedesse una via d’uscita dai pericoli della guerra. Come accennato in precedenza, in questi passaggi è possibile notare quanto la terminologia e gli aspetti basilari della psichiatria ufficiale fossero ormai parte integrante del bagaglio culturale del soldato semplice. La psichiatria di allora affermava come il boom di disturbi mentali registratisi tra i soldati, fossero solo in ultima battuta attribuibili al meccanismo della guerra, bensì generati dalla riottosità tipica delle masse popolari, dalla loro “insufficienza mentale”, dalle tare ereditarie o dalla predisposizione. 

Un’altra testimonianza riporta, invece, un palese tentativo di “darsi per pazzo”. Il soldato Ottavio O., anch’egli ricoverato a Cogoleto, scriveva ad una parente:
Cara Gina, Questoggi parto per Cocoletto sicche tu verrai tra 21 giorni ti raccomando di non parlarmi tanto e nemmeno domandarmi come sto. Perché io parlerò pochissimo. Se prima di parlare con me ti facessero parlare col Capitano state attenti coma parlate. E cioè che io accasa avevo sempre paura che mi uccidessero che perfino delle volte stavo rinchiuso in camera dei tre quattro giorni senza uscire e senza parlare con nessuno. E se vi domandasse se da molto che sono malato ditegli che sono sempre stato esquilibrato (…) al Capitano non cervate mai di dirgli di farmi uscire.

Nei loro tentativi di fuga dalla brutalità della guerra i soldati tentavano di volgere a proprio favore gli assunti più tipici della psichiatria di allora - pervasa da spunti lombrosiani – secondo la quale dietro a ogni disperato, sofferente, disertore o insubordinato vi era un malato di mente e dietro ad ogni malato di mente vi era una predisposizione o un’ereditarietà genetica, un incidente durante l’infanzia, una bravata finita male, o un’estrazione sociale basse o moralmente deprecabile. Ben presto ebbe inizio una vera e propria “guerra nella guerra” tra simulatori e alienisti, nella quale si intrecciavano i compiti disciplinari propri del mondo militare con quelli terapeutici. Tuttavia erano gli stessi psichiatri a sottolineare le difficoltà nello stabilire un confine certo tra la simulazione e la malattia mentale. Ciononostante, con l’andare del tempo, divenne più difficile essere riformati o esonerati per disturbi psicologici. Tra il 1917 e il 1918 il servizio psichiatrico della I° armata esaminò 3174 casi di soldati che lamentavano malattie mentali, dei quali 864 convulsionari: di questi ultimi solo l’1,3% fu ritenuto malato e tradotto in manicomio, mentre il 74,8% venne ritenuto simulatore e rispedito ai reparti incondizionatamente ed un altro 9,8% avviato anch’esso ai reparti, ma temporaneamente, a causa di affezioni fisiche concomitanti. Da notare inoltre come l’avvio al manicomio non costituisse una certezza di evitare la guerra. Spesso ai primi segni di ripresa dai disturbi, i militari ricoverati venivano rimessi in servizio, a dimostrazione di come la volontà dei medici di rigettare il soldato in battaglia fosse forte quanto il disturbo - vero o simulato - che aveva spinto il soldato stesso a “fuggire” dai massacri quotidiani della Grande Guerra. 

In conclusione, appare significativo riportare una citazione tratta dal romanzo di Hasek Il buon soldato Sc'vèik. Durante una conversazione con un commilitone, Sc'vèik afferma con ironia:
La miglior cosa che tu possa fare è di passare per scemo. Quando stavo in guarnigione c’era con noi un furbacchione (…) Costui disertò dal campo di battaglia ed avrebbero dovuto fargli un processo (…) nel quale sarebbe stato condannato all’impiccagione per viltà, ma lui riuscì a farla franca in una maniera semplicissima. Cominciò a recitare la parte del malato per tare ereditario, (…) dichiarò che non aveva disertato, ma che in realtà fin da giovane gli era sempre piaciuto viaggiare ed aveva sempre avuto la passione di fuggire in località lontane. (…) Suo padre, aggiunse, era un alcolizzato e si era suicidato prima che egli nascesse, sua madre era una prostituta ed un’ubriacona (…) la sorella maggiore s’era affogata, la minore s’era buttata sotto un treno, il fratello era saltato dal ponte ferroviario di Vyšerad, un nonno aveva assassinato la propria moglie e poi s’era cosparso di petrolio e dato fuoco, l’altra sua nonna era andata girovagando con certi zingari e s’era avvelenata in prigione coi fiammiferi (…) egli stesso aveva ricevuto un’educazione assai trasandata e fino a dieci anni non aveva saputo parlare, perché all’età di sei mesi, mentre lo fasciavano sul tavolo e s’erano dovuti allontanare un momento, la gatta lo aveva fatto cadere a terra ed aveva battuto forte la testa sul pavimento.
La risposta dell’interlocutore è altrettanto ironica:
Oggi, nell’esercito alle tare ereditarie non ci crede più nessuno, perché altrimenti dovrebbero chiudere nei manicomi tutti gli stati maggiori.

Fonti:
Antonio Gibelli, L’officina della guerra. La Grande Guerra e le trasformazioni del mondo mentale, Bollati Boringhieri, Torino, 2014
Antonio Gibelli, La grande guerra degli italiani 1915-1918, Rizzoli, Milano, 2014
Mario Isnenghi, Giorgio Rochat, La grande guerra: 1914 – 1918, Bologna, Il Mulino, 2008


Link

https://encyclopedia.1914-1918-online.net/article/medicine_and_medical_service 
https://encyclopedia.1914-1918-online.net/article/internees_switzerland 
https://www.bl.uk/world-war-one/articles/medical-developments-in-world-war-one


Letture

Domenico De Napoli, La sanità militare in Italia durante la Prima guerra mondiale, Roma, ed. Apes, 1989
G. Boschi, La guerra e le arti sanitarie, Milano, ed. Mondadori, 1931
Stefania Bartoloni, Italiane alla guerra. L’assistenza ai feriti 1915-1918, Marsilio editori, 2003
Gianfranco Donelli, Valerio di Carlo, La sanità pubblica italiana negli anni a cavallo della prima guerra mondiale, Roma, Armando editore, 2016
Guido Caironi, Grande Guerra. La medicina in trincea. Conoscenze, tecniche e organizzazione sanitaria sul fronte italiano, Valdagno, Gino Rossato editore, 2020