La sesta battaglia dell'Isonzo

di Giuliano Casagrande

“Mentre la morte va a passeggio per Gorizia, i prati e gli alberi fioriscono dappertutto con prepotente esuberanza. Pare d’essere nel camerino d’una prima donna. Le donne però, che sono di nuovo in cucina e aiutano a pulire sorridono imbarazzate «Noi non facciamo che il nostro dovere». Certo, si sono dimenticate di aggiungere «Per carità! Nulla che parli di guerra»”.
Alice Schalek, giornalista e scrittrice viennese, corrispondente di guerra

“Oh Gorizia, tu sei maledetta” recita il famoso ritornello di una canzone antimilitarista. L’anonimo autore non avrebbe potuto condannare la guerra in modo più netto se non maledicendo una delle mete dell’irredentismo nazionale. Quattro importanti offensive, ed una minore, avevano preceduto la sesta battaglia dell’Isonzo, l’unica che portò ad immediati quanto concreti risultati: la presa di Gorizia. Chi nelle trincee cantò quel verso malediceva un simbolo, prima che una città, rifiutando il sistema di valori che reggeva la monarchia e il conflitto in corso. Per correre all’assalto contro le mitragliatrici, però, non bastava la paura della fucilazione. Il 6 agosto 1916, quando le artiglierie italiane avevano aperto il fuoco contro le posizioni austriache, i fanti si erano lanciati “con la baionetta in canna urlando Savoia”, racconta nel suo diario Cecchino Ronconi, soldato italiano che partecipò all’offensiva. Sempre il fante ricorda come all’annuncio dell’attacco alcuni piangessero, altri ammutolissero come già rassegnati. Proprio fatalismo e obbedienza si rincorrevano nella mente dei soldati perché riuscissero ad affrontare quella prova terribile: ma non bastava il senso del dovere a superarla. Proprio in quei giorni a Monfalcone Enrico Toti si lanciava all’attacco, e, ferito due volte, scagliava la sua stampella contro il nemico. Ferroviere, perduta la gamba in un incidente sul lavoro, non si arrese mai alla sua condizione percorrendo infinite distanze in bicicletta, giungendo anche in Sudan. Scoppiata la guerra volle parteciparvi in qualità di bersagliere nonostante fosse esonerato quale invalido. Oltre alle ragioni intime dell’eroe, il mito successivo esaltato dal fascismo e le riletture odierne, rimane il fatto che un uomo mutilato si lanciò all’attacco contro i trinceramenti imperial regi. Non solo le necessità della propaganda, ma il bisogno di vittorie, di un destino grande in un fronte secondario e regionale, fece sì che ogni successo e sacrificio fossero leggenda e gli uomini, come Toti stesso, vivessero profondamente quella narrazione, interpretandola fino all’ultimo gesto. Infatti, fino a Caporetto, la guerra fu combattuta compattamente dal Regio Esercito, nonostante non mirasse a difendere le case e le famiglie dei soldati, ma perseguisse risultati retorici. E se la vittoria di Gorizia, con 51.000 tra caduti, feriti e dispersi da parte italiana, fece nascere questa canzone e dei dubbi nel fante, l’esercito italiano affrontò con uguale impegno altre cinque battaglie prima di cedere alla dodicesima. I soldati, nella nuova comunità della trincea, vissero quella “tragedia collettiva” nello spirito del loro tempo, magari odiando Gorizia, ma combattendo. La buona riuscita della sesta battaglia non si basò però sulla loro “superiorità morale”, come avrebbe voluto Cadorna, perché, altrimenti, l’esercito italiano avrebbe travolto gli austro-ungarici già nelle offensive precedenti.

L’esperienza di un anno e più di guerra, insieme all’ampliato arsenale di artiglierie (circa 1200 cannoni) permisero allo Stato maggiore italiano di conseguire ciò che prima non era stato possibile ottenere. Inoltre la Strafexpedition, arrestata appena due mesi prima, faceva credere agli austro-ungarici che fosse impossibile per gli italiani sviluppare una nuova offensiva nell’estate. I minuziosi preparativi, condotti in segreto, si saldarono invece a quelli bruscamente interrotti per rispondere all’attacco austriaco, trasportando in una settimana 300.000 uomini alle porte di Gorizia. Gli obiettivi dell’artiglieria vennero stabiliti con cura e furono realizzate nuove trincee sempre più prossime alle posizioni austro-ungariche. Sarebbe stata la bombarda, un’arma rudimentale rispetto ai cannoni di nuova concezione, ad aprire finalmente la strada alla fanteria rimuovendo cavalli di frisia e reticolati. Gli austriaci controllavano una testa di ponte proprio in corrispondenza di Gorizia, rendendo l’attacco italiano doppiamente difficile: superate le prime difese i fanti avrebbero dovuto passare l’Isonzo. Preparazione e sorpresa furono i principali fattori che permisero al Regio Esercito di avere ragione di quello austriaco. Il 6 agosto, sostenute da un’importante scorta di munizioni, le artiglierie italiane aprirono il fuoco sulle trincee nemiche. All’interruzione del bombardamento gli austriaci risposero immediatamente con i loro cannoni credendo in un imminente assalto di fanteria, ma così non fu. Ritardando di mezz’ora l’attacco, gli italiani fecero sprecare le ridotte scorte di proiettili austriache. La fanteria, lanciata in avanti, colse risultati notevoli come la presa in 38 minuti del Monte Sabotino guidata dal colonnello Badoglio, dove già si erano infranti innumerevoli tentativi di conquista. l’Impero aveva poche truppe da gettare nella battaglia perché, dopo la Strafexpedition, tutte le risorse erano state dirottate per contenere l’offensiva Brusilov sul fronte orientale. Le divisioni italiane sfondarono in più punti la testa di ponte austriaca trovando una resistenza accanita, ma poco coordinata. Ai contrattacchi settoriali austroungarici questa volta le truppe italiane resistettero dopo scontri asprissimi e vicendevoli assalti alla baionetta. Alle prime ore dell’8 agosto il Feldmaresciallo Boroëvić diede l’ordine di ritirarsi sulla riva sinistra dell’Isonzo. Dei 18.000 soldati imperiali regi che controllavano la testa di ponte solo 5.000 riuscirono a ritirarsi. Quasi subito alcuni contingenti italiani guadarono il fiume. L’azione riuscì anche perché gli austriaci avevano arretrato le loro artiglierie per paura che diventassero preda italiana. Mentre il comando austro-ungarico riteneva imminente un ulteriore sfondamento nel settore di Gorizia, Cadorna progettava un attacco a tenaglia convinto che gli avversari volessero resistere nei pressi della città isontina. Come in altri contesti le supposizioni degli opposti comandi non si verificarono creando una situazione paradossale per la quale la città rimase nella terra di nessuno per poi essere presa, con scontri minori, da alcuni reparti di italiani. Le operazioni, pur dilatandosi fino al 16 agosto, videro la fine dell’avanzata italiana il 10 dello stesso mese. Se la conquista di Gorizia significò il conseguimento di alcuni obiettivi concreti come la presa del Sabotino, essa rappresentava in realtà una vittoria morale, il primo vero successo offensivo dall’apertura delle ostilità. Infatti questa conquista non ribaltò le sorti del conflitto che ritornò subito ad essere una guerra di logoramento.


Gallery

Mappa di Gorizia dall’alto con visione sul fiume Isonzo. 1915-16 [AF MSIGR 250/61]
Il ponte di Gorizia sotto il fuoco nemico. Agosto 1916 [AF MSIGR 6/2158]

Testimonianze

Testimonianze della "Presa di Gorizia". Agosto 1916

Strofe di O Gorizia tu sei maledetta, canzone popolare di autore anonimo, riferibile alla battaglia che portò, tra il 7 ed il 10 agosto 1916 alla conquista italiana della città. Il canto è connotato da toni fortemente antimilitaristi. L’ultima strofa, spesso, non è citata, a causa delle accuse di vilipendio alle istituzioni dello Stato che la stessa ha provocato.

O Gorizia, tu sei maledetta / per ogni cuore che sente coscienza;
dolorosa ci fu la partenza / e il ritorno per molti non fu
O vigliacchi che voi ve ne state / con le mogli sui letti di lana,
schernitori di noi carne umana, / questa guerra ci insegna a punir.
Voi chiamate il campo d'onore / questa terra di là dei confini;
qui si muore gridando: assassini! / maledetti sarete un dì.
Cara moglie, che tu non mi senti / raccomando ai compagni vicini
di tenermi da conto i bambini, / che io muoio col suo nome nel cuor.
Traditori signori ufficiali / che la guerra l'avete voluta,
scannatori di carne venduta, / e rovina della gioventù.

Fritz Weber (1895-1972), ufficiale dell’esercito austro-ungarico, fu a forte Verle (oggi in Trentino), combatté sull’Altipiano dei Sette Comuni, sul Pasubio e sul Carso. Dopo la guerra descriverà la sua esperienza bellica sull’Isonzo nel libro Dal Monte Nero a Caporetto.

17 novembre 1915, quarta battaglia dell’Isonzo, bombardamento italiano su Gorizia.
Gorizia non esisteva più. La sua bellezza disparve con le ultime colonne di fumo che salivano dai resti delle case, si dissolse con i suoi palazzi e le sue chiese […]
Ma Gorizia, adesso che non era più un obiettivo materiale, assunse una parte  di maggior rilievo […] superando tutti i meditati calcoli dei politici e dei generali: Gorizia, la città di macerie diventò un simbolo […] Parve allora che tutta la guerra si fosse accentrata di colpo intorno alla città che sorgeva sulle rive dell’Isonzo insanguinato.

6 o 7 agosto 1916, giorni iniziali della sesta battaglia.
Circolavano notizie allarmanti. Gli osservatori di guardia lungo il fronte vigilavano, con una tensione spasmodica, per dare conferma a quanto era stato riferito per scoprire se si trattava di una mistificazione. Il generale Cadorna aveva annunciato pubblicamente la sua sesta offensiva, mediante la stampa! Impossibile appurare se l’avesse fatto nella certezza di un’assoluta superiorità o se si trattava di un’astuta manovra simulata.

Barone Baum von Appelshofen, capitano distrettuale di Gorizia durante la battaglia e capo della polizia locale della città. Dopo aver organizzato l’evacuazione, fu tra le prime autorità a lasciare Gorizia.

Dalla relazione al governo di Vienna, si fa riferimento al giorno successivo all’evacuazione di Gorizia (8 agosto 1916):
Quivi (alla periferia della città) c’era molta gente, in maggioranza donne che mi circondavano e mi chiesero che cos’era di nuovo e che cosa dovevano fare. Io consigliai loro di lasciare la città perché il pericolo del fuoco italiano era grande […].
Devo far notare che le vie che circondano il palazzo municipale stavano sotto il fuoco intenso delle artiglierie italiane e perciò non volli assumermi la responsabilità di mandare in giro dei messi per avvisare la popolazione nascosta nelle case e nelle cantine
[…]. Gran numero di shrapnels esplodevano con rapidità sopra ed ai lati dell’edificio. Anche nel palazzo municipale furono portati numerosi feriti e tra questi un capitano […] Venne inoltre portata nell’edificio una donna gravemente ferita al capo, per cui feci chiamare il medico distrettuale, il quale però, dopo aver constatato l’inutilità di ogni sforzo, corse a casa ad impacchettare le sue cose.    

Generale e barone Wenzel von Wurm (1859-1921), comandante del XVI Corpo d’armata dell’imperial-regio esercito e vincitore di quattro delle battaglie dell’Isonzo (dalla seconda alla quinta).

Relazione sulla ritirata austriaca da Gorizia (8-10 agosto 1916).
Alle sei pomeridiane (dell’8 agosto) era ormai evidente che la micidiale resistenza della sponda del fiume non avrebbe potuto durare che qualche ora ancora. Ogni ora di resistenza costava sacrifici di sangue ed i rinforzi che si trovavano in marcia (verso Gorizia) non avrebbero potuto far sentire il loro intervento che a notte inoltrata […]
Solo una massa poderosa d’artiglieria, bombardando la fanteria nemica […] avrebbe potuto porre qualche riparo alla situazione.
La situazione diventava sempre più precaria, tanto più che tutti i rifornimenti dovevano attraversare un terreno scoperto e battuto dall’artiglieria avversaria. In base a queste considerazioni alle 6 pomeridiane venne fatta la proposta al Comando d’Armata di ripiegare sulla seconda linea.

Aurelio Baruzzi (1897-1985), sottotenente di fanteria del Regio esercito del 28° reggimento Pavia e medaglia d’oro al valor militare nel 1917. Egli fu il primo soldato italiano ad innalzare il tricolore a Gorizia.

8 Agosto 1916, Gorizia.
Nella nostra avanzata lungo il bel viale, di tanto in tanto siamo fatti segno a isolati colpi di fucile che ci procurano qualche ferito. Sono pochi Austriaci nascosti dietro i grossi tronchi dei platani, sparano e si ritirano.
A un certo punto, sulla sinistra del viale trovo aperta una trattoria
[…] Nonostante la sparatoria, il proprietario e la figlia se ne stanno sulla porta, incuranti del pericolo di restare colpiti da una qualche pallottola errante.
“Che cosa avete da bere?”
“Birra e bibite”.
“Prego portatemi per favore una birra”.
Per evitare sorprese del nemico, attendo fuori, sulla strada. Dopo pochi secondi mi viene consegnato un bicchiere di fresca birra; lo bevo di un sol fiato, tanta è la sete.
“Quanto costa?”
“Oh nulla”. Ma io insisto.
“Se proprio la vol pagare, sono 40 centesimi”.
Intendeva centesimi di Corona austriaca o di lira?

Bibliografia
AA.VV., Avanti popolo; due secoli di canti popolari e di protesta civile, Ricordi, Roma, 1998
A. Baruzzi, Quel giorno a Gorizia, Gaspari Editore, Udine, 1999
G. Del Bianco, La guerra in Friuli, sull’Isonzo e in Carnia, Gorizia, Disfattismo, II vol. I.E.A. Udine 1939
Fritz Weber, Dal Monte Nero a Caporetto, le dodici battaglia dell’Isonzo, Mursia, Milano, 1967
J. Schindler, Isonzo; il massacro dimenticato della Grande Guerra, LEG, Gorizia, 2002
F. Zingales, La conquista di Gorizia, Ufficio storico del R. esercito, Ministero della Guerra, Roma, 1925


Biografia

Pietro Badoglio

Il 6 agosto 1916, alle ore 7, si scatenò il fuoco di sbarramento delle artiglierie italiane da Tolmino al mare. Era iniziata la Sesta battaglia dell’Isonzo, che si sarebbe conclusa con la conquista di Gorizia, rappresentando la prima vittoria italiana dopo più di tredici mesi di guerra.
Sul monte Sabotino cinque battaglioni di fanteria, in soli 38 minuti, riuscirono ad espugnarne la vetta e a sorpassarla scendendo verso la sponda destra dell’Isonzo sul costone di San Mauro. Fino a quel momento il Sabotino aveva rappresentato uno dei principali ostacoli all’avanzata italiana: brullo, difeso da una solida rete di trincee, capisaldi e ricoveri in caverna e fortemente presidiato dagli austriaci, contro di esso si erano scagliati le sanguinose, quanto inefficaci, spallate di Cadorna. Vista l’impossibilità di prendere la montagna con un assalto frontale l’alto comando decise di cambiare strategia: facendo brillare quasi 2500 cariche di mina per notte fu costruita un’estesa rete di trincee e gallerie fin sotto le postazioni austriache, a circa 20 metri di distanza. Il balzo che gli attaccanti dovevano compiere allo scoperto veniva così notevolmente accorciato, permettendo ai soldati italiani di irrompere nelle trincee austriache prima che esse fossero guarnite dai difensori, i quali restavano fino all’ultimo nei ricoveri per proteggersi dal bombardamento.
Ideatore del piano e colui che diresse l’attacco fu il giovane colonnello Pietro Badoglio. Nato a Grazzano Monferrato il 28 settembre 1871 da una famiglia della medio-alta borghesia, Badoglio entrò all’accademia militare di Torino nel 1888, uscendone con il grado di Tenente nel 1892. Entrato in servizio attivo, tra il 1896 e il 1898 fu in Eritrea, dove partecipò alla spedizione su Adigrat. Tornato in Italia, partecipò alla guerra italo-turca distinguendosi nelle azioni di Ain Zara e Zanzur, venendo così promosso Maggiore.
Allo scoppio della Grande Guerra il Tenente Colonnello Pietro Badoglio fu assegnato allo stato maggiore della II° Armata, a comando della 4° Divisione, nel settore del monte Sabotino. La tendenza di Cadorna a “silurare” frequentemente i propri sottoposti permise a giovani ufficiali come Badoglio di far carriera rapidamente, tanto che nell’aprile era già divenuto colonnello e capo di stato maggiore del VI° corpo d’armata. Nell’agosto del 1916 la conquista del monte Sabotino rappresentò l’inizio di una folgorante carriera. Promosso maggiore generale nello stesso anno, nel maggio 1917 fu posto al comando del II° Corpo d’Armata, distinguendosi ancora nella conquista dei monti Vodice e Kuk. In seguito a questi successi il generale Luigi Capello propose e ottenne la promozione di Badoglio a Tenente Generale destinandolo al comando del XXVII° Corpo d’Armata.
Il 24 ottobre 1917, all’inizio della battaglia di Caporetto, il corpo d’armata di Badoglio presidiava un settore di fronte al Tolmino pesantemente difeso da ben 56 battaglioni di fanteria, appoggiati da 560 artiglierie. Gli attacchi della XIV° armata austro-tedesca nei settori meno difesi tra Plezzo e Tolmino ebbero scarso successo tuttavia lo sfondamento avvenne proprio nell’area di competenza di Badoglio. Allo stesso modo di Capello, Badoglio mantenne ostinatamente truppe e artiglieria su posizioni troppo avanzate e indifendibili, non preparando alcuna seconda linea difensiva alle spalle. L’artiglieria del XXVII° corpo d’armata non aprì il fuoco, probabilmente a causa dell’incapacità di Badoglio di comprendere l’entità dell’attacco e comunicare ordini alle proprie unità: di fatto il generale piemontese fu da subito tagliato fuori dalle proprie truppe, rendendosi poi irreperibile nei giorni più drammatici della rotta.

Dopo la stabilizzazione del fronte lungo la linea del Piave e l’esonero di Cadorna, sostituito da Armando Diaz, malgrado il pesante coinvolgimento nella rotta di Caporetto, Badoglio riuscì ad entrare nel Comando supremo, divenendo il vice del nuovo capo di stato maggiore dell’esercito. Nel gennaio del 1918 una commissione d’inchiesta istituita per indagare sui fatti di Caporetto, pur indicando i generali Cadorna e Capello come i principali responsabili della disfatta, conteneva diverse gravi accuse sull’operato dello stesso Badoglio. Tuttavia l’importante ruolo ricoperto all’interno del nuovo Comando supremo e il fondamentale appoggio di Diaz fecero sì che le responsabilità di Badoglio fossero taciute, salvando di fatto la carriera del generale piemontese.
Ciononostante il giudizio sull’operato di Badoglio nell’ultimo anno di guerra è in genere molto positivo, curò maggiormente l’addestramento dei soldati, ne migliorò le condizioni di vita e in particolare potenziò il servizio informazioni e la propaganda tra le truppe.
Nel dopoguerra divenne senatore e successe a Diaz come capo di stato maggiore dell’esercito. Pur non essendo un sostenitore del fascismo riuscì comunque intraprendere una brillante carriera durante il Ventennio, forte del prestigio e dell’autorevolezza derivanti dall’essere uno dei “generali della vittoria”. Nel 1925 fu nominato Capo di stato maggiore generale delle forze armate - carica che mantenne fino al 1940 – nel 1926 fu maresciallo d’Italia e nel 1928 divenne governatore della Tripolitania e della Cirenaica. Nel novembre del 1935 partecipò alla conquista dell’Etiopia, sostituendo De Bono come comandante generale delle truppe in Eritrea. Conclusa brillantemente l’esperienza in Africa orientale, rientrò in patria carico di onori.
Contrario all’ingresso in guerra dell’Italia nel Secondo conflitto mondiale, egli tuttavia non vi si oppose, pur essendo conscio dell’impreparazione delle forze armate. Dopo i primi rovesci militari in Francia e Grecia, Badoglio diede le dimissioni da capo di stato maggiore generale. Durante gli anni di guerra perse il figlio, pilota sul fronte libico, e la moglie.
Il 25 luglio 1943 dopo la caduta di Mussolini fu incaricato da Vittorio Emanuele III di formare un nuovo governo. Gestì mediocremente l’armistizio con gli alleati e la caotica fase dell’8 settembre 1943, fuggendo da Roma – minacciata dall’occupazione tedesca - assieme alla famiglia reale e rifugiandosi a Brindisi. Nel 1944 le sue collusioni con il regime fascista e la mutata situazione politica provocata dalla guerra civile lo costrinsero alle dimissioni, ritirandosi a vita privata. Nel dopoguerra fu accusato di crimini contro l’umanità per l’utilizzo dei gas durante la campagna d’Etiopia.
Figura legata a numerosi episodi controversi, tra i quali Caporetto, la connivenza con il fascismo, l’Iprite in Africa orientale e non ultime, la mancata difesa di Roma e il caos dell’8 settembre, Badoglio morì indisturbato il 1° novembre 1956.


Link

https://www.raicultura.it/webdoc/grande-guerra/presa-di-gorizia/index.html#welcome
https://encyclopedia.1914-1918-online.net/article/isonzo_battles_of
https://encyclopedia.1914-1918-online.net/article/gorizia_battle_of


Letture

Walther Schaumann, Peter Schubert, Isonzo, là dove morirono, Bassano del Grappa, Ghedina & Tassotti, 1990
Cecchino Ronconi, Giuseppe Matulli (a cura di), Da Gorizia a Caporetto: diario della Grande Guerra di Cecchino Ronconi, Firenze, Aida, 1999
Alice Schalek, Isonzofront, Gorizia, Editrice Goriziana, 1988
Sante Gaudenzi, Lucio Fabi ( a cura di), Guerra a fuoco, Cremona, Persico edizioni, 2003
Folisi Enrico, Sei battaglie per una vittoria. 1916, oltre l'Isonzo: Gorizia, Gaspari, 2005
Seccia Giorgio, Gorizia 1916. 9-17 agosto: la 6° battaglia dell'Isonzo, Itinera Progetti, 2015