Da Messines a Passchendaele

di Alessandro Chebat

"Confesso di restare aggrappato a questa strategia più perché non riesco a vedere niente di meglio, e perché così mi suggerisce l’istinto, che non perché abbia qualche buona ragione per sostenerla".
Da una lettera di Sir William Robertson, Capo di stato maggiore imperiale, a Haig

La mattina del 31 luglio 1917, alle 3:50, nove divisioni britanniche balzarono fuori dalle trincee e investirono le alture di Plickem: era iniziata la battaglia di Passchendaele. Lo scontro - più che una battaglia vera e propria - può essere considerato una campagna militare che si frantumò in una serie di operazioni apparentemente indipendenti tra loro. Malgrado la battaglia porti il nome del villaggio di Passchendaele, esso occupava solamente un crinale ad est di Ypres. L’obiettivo finale dell’operazione era invece il controllo dei crinali orientali e meridionali di Ypres, che nei piani britannici avrebbe condotto alla conquista delle Fiandre.

Alle origini di Passchendaele vi sono una serie di variabili di natura politica, sociale e militare che andarono poi ad influire sugli esiti finali della battaglia. La prima di queste variabili può essere riscontrata nella visione tattico-strategica di Douglas Haig, il comandante in capo delle forze britanniche. Egli, da un lato, era persuaso che lo scontro che avrebbe deciso le sorti della Grande guerra si sarebbe svolto sul fronte occidentale – nelle Fiandre – dall’altro lato, riteneva che ciò sarebbe avvenuto solo attraverso l’impiego di nuovi mezzi e strategie innovative, mantenendo alta la pressione sul nemico e in stretta collaborazione con le forze francesi.

La buona riuscita dei piani strategici elaborati da Haig fu minata fin da subito dalla profonda crisi attraversata dall’esercito francese dopo la fallimentare e sanguinosa offensiva di Nivelle. Il 27 maggio 1917 quelli che erano cominciati come fenomeni di diserzione si tramutarono in un vero e proprio ammutinamento generale. Le autorità francesi intervennero facendo affluire unità fedeli e bloccando la rivolta sul nascere. Il generale Petain fu nominato comandante dell’esercito, adoperandosi per individuare e punire i colpevoli degli ammutinamenti e al contempo promettendo e attuando miglioramenti nella qualità della vita dei soldati. Petain era altresì conscio di come gli ammutinamenti avessero colpito il 43% delle 113 divisioni di fanteria dell'esercito francese. Il fatto che la crisi morale colpisse principalmente la fanteria (l’arma più sacrificata che aveva subito enormi perdite dall'inizio della guerra) e che i soldati si rifiutassero di tornare all’attacco ma non di difendere le trincee e il suolo nazionale, convinsero Petain a non impiegare più le unità francesi in grandi operazioni per un periodo medio-lungo, mantenendosi sulla difensiva. Il compito di logorare i tedeschi sul campo di battaglia passava perciò agli inglesi, compito che Haig decise di assumersi fino alle estreme conseguenze.

Nonostante il mancato supporto francese Haig, in collaborazione con Reginald Bacon, ammiraglio della Royal Navy, elaborò un piano che prevedeva lo sbarco ad Ostenda di 9000 Royal Marines – supportati da tre divisioni di fanteria – che avrebbero dovuto annientare il fianco destro tedesco nelle Fiandre. L’occupazione delle Fiandre, oltre ad essere considerata come il trampolino di lancio per lo sfondamento delle linee tedesche, era di vitale importanza per il controllo dei porti belgi dai quali (secondo gli inglesi) partivano gli U-Boot tedeschi per le loro micidiali incursioni contro il traffico mercantile alleato.

A seguito del coinvolgimento del colonnello Aymler Hunter-Weston – un veterano di Gallipoli – i piani di sbarco divennero più ambiziosi, con la costruzioni di enormi pontoni galleggianti in grado di trasportare tre divisioni, carri armati e artiglieria. Zona dello sbarco: Middelkerke, nei pressi di Niuwpoort. Per garantire il successo delle operazioni occorreva però occupare i crinali a sud e ad est di Ypres e le linee ferroviarie controllate dai tedeschi.

La prima di queste operazioni preparatorie fu la battaglia di Messines, la cui altura era considerata di vitale importanza per congiungere le aree di sbarco di Middelkerke con il fulcro dell’attacco su Ypres. Il comando delle operazioni fu affidato al generale Erbert Plumer. Molto popolare e rigoroso pianificatore, Plumer era un ufficiale estremamente attento a risparmiare la vita dei propri uomini, prediligendo un approccio più cauto volto a indebolire l’avversario cingendolo in una sorta di assedio. La battaglia di Messines si svolse nel giugno 1917, tuttavia la sua panificazione era iniziata già nel 1916, con l’arrivo dei Royal Engineers Tunnelling Companies, i quali scavarono una fitta rete di gallerie e camere di scoppio sotto il crinale di Messines, stipandovi quasi 500 tonnellate di Ammonal – un esplosivo ad alto potenziale – suddiviso in 24 cariche. Le esplosioni avvennero la mattina del 7 giugno alle 3:10 del mattino, dopo un bombardamento di due settimane da parte dell’artiglieria inglese, creando 19 enormi crateri. La mina di Spanbroekmolen, caricata con oltre 41 tonnellate di esplosivo, creò un cratere di 120 metri di diametro. L’esplosione fu udita fin nei sobborghi di Londra. A Messines morirono circa 10.000 tedeschi, a cui vanno aggiunti circa 15.000 feriti, dispersi e prigionieri. Cospicuo anche il bottino di armi e materiali tra i quali 65 cannoni, 94 mortai da trincea e circa 300 mitragliatrici. A rendere ancora più devastante l'effetto, giunse il fuoco di oltre 2000 cannoni inglesi che devastarono ulteriormente le posizioni tedesche. Già il 10 giugno i tedeschi si ritirarono dalle posizioni ormai indifendibili, attestandosi 4 chilometri più a est. Quella di Messines può essere considerata come l’azione di maggior successo dell’esercito britannico sul fronte occidentale. Attentamente pianificata e eseguita con cura, l’operazione fu celebrata come una schiacciante vittoria inglese, convincendo molti alti ufficiali britannici della possibilità di ottenere ulteriori successi su larga scala contro le forze tedesche, dimenticandosi come, tuttavia, la battaglia di Messines si prefiggesse obiettivi tattici limitati e non mirasse alla sfondamento strategico del fronte. Un ottimismo che si rivelò fatale due mesi dopo nella più ampia e ambiziosa battaglia di Passchendaele.

In seguito al vittorioso combattimento di Messines, Douglas Haig nominò come comandante della V armata (che avrebbe sopportato il peso dell’imminente offensiva) il generale Hubert Gough, sostituendo Plumer, che tanto bene aveva saputo gestire lo scontro. Ebbe così inizio la seconda fase preparatoria, che in seguito avrebbe generato quell’inferno di fango che caratterizzò la battaglia di Passchendaele. Il 22 luglio, 2300 cannoni di medio e grosso calibro iniziarono un bombardamento delle posizioni tedesche che si sarebbe protratto fino al 31 luglio. Tuttavia, tale massiccio bombardamento non fece altro che sconvolgere il terreno, distruggendo l’antico sistema di drenaggio delle acque che in questa parte delle Fiandre garantiva da secoli il consolidamento dei terreni ed evitava l’impaludamento del territorio. Questo, unito alle forti piogge, trasformò in breve il campo di battaglia in un enorme acquitrino che rallentava i progressi delle truppe. Subito dopo la fine dei bombardamenti, alle 3:50, la fanteria inglese balzò fuori dalle trincee e iniziò ad avanzare su un fronte di 25 chilometri, cogliendo qualche successo iniziale e raggiungendo la linea del fiume Steenbeck. Ciononostante, tutti gli attacchi alla strada di Menin, obiettivo principale della battaglia, furono respinti dai tedeschi che inflissero agli inglesi dure perdite.

Nei due mesi trascorsi dall’attacco di Messines i tedeschi avevano avuto il tempo di rafforzare le proprie difese in vista della probabile offensiva. Non trincee lineari, bensì bunker e casematte isolate, costruiti in cemento armato e ben forniti di mitragliatrici. Contro tale sistema - che ben si adattava al terreno acquitrinoso e permetteva ai tedeschi di difendere ampie porzioni di terreno con relativamente pochi uomini - si dissanguarono le truppe britanniche. Da parte inglese l’impiego massiccio di artiglieria e carri si rivelò inutile: i Tanks affondavano nel fango mentre l’effetto delle granate era ridotto e attutito dal fango. Tuttavia, era l’ostinata resistenza tedesca a limitare i progressi britannici: nella sola battaglia di Quota 70 – ingaggiata per liberare Lens – le truppe canadesi persero quasi 10.000 uomini tra morti, feriti e dispersi. Nella battaglia di Langemarck, tra il 16 e il 18 agosto, le 8 divisioni britanniche impiegate subirono oltre 36.000 perdite. Entrambi gli scontri fallirono nel conseguire i propri obiettivi. Nella pur vittoriosa battaglia di Pilckem le truppe inglesi pagarono il successo con quasi 32.000 morti e feriti.

Nonostante il grande spiegamento di mezzi e il consumo elevato di munizioni, per oltre un mese gli attacchi settoriali concepiti da Gough su un fronte molto ampio erano stati un fallimento, conseguendo solo successi limitati al costo di perdite elevatissime. Il tempo infame, il terreno impraticabile e lo sfinimento dei soldati spinsero Haig ad un cambio di strategia: il 20 settembre il compito di conquistare l’importante strada di Menin fu affidato a Plumer, il vincitore di Messines, prendendo di fatto il comando delle operazioni.

Il peso dell’offensiva fu trasferito dalla martoriata V armata di Gough alla II di Plumer. La tattica utilizzata era però diversa: attacchi di minore entità contro obiettivi ben precisi - definiti “bite and hold” (letteralmente “mordi e mantieni”) - rimanendo sempre entro il raggio d’azione delle artiglierie britanniche. Tale impiego dell’artiglieria - chiamato “Sbarramento mobile” (Creeping Barrage) - consisteva nel far avanzare i fanti sotto la copertura dei cannoni. Le truppe, una volta conquistato il loro obiettivo, attendevano che l'artiglieria si muovesse in avanti per dare supporto ad ulteriori avanzate e stroncare i micidiali contrattacchi tedeschi. Aiutati da un intenso bombardamento, il 26 settembre, inglesi e australiani riuscirono infine a prendere la strada di Menin con perdite relativamente contenute. Il 3 ottobre occuparono anche il Bosco del Poligono, contro il quale, precedentemente, erano falliti numerosi attacchi.

In generale, questi piccoli “morsi” ideati da Plumer fruttarono cospicue avanzate e ben 10.000 prigionieri. I tedeschi nei loro rapporti registrarono episodi di collasso psicologico in molte loro unità a causa dell’intensità dei combattimenti e delle dure perdite. Ludendorff temeva il crollo del fronte delle Fiandre. In quei giorni egli annotò: «Giornata di aspri combattimenti in cui tutto è sembrato congiurare contro di noi. Forse riusciremo a contrastare la perdita di terreno, ma la nostra capacità di combattere ha subito un altro duro colpo».

Tuttavia, nemmeno un brillante generale come Plumer poteva mutare una situazione già compromessa. L’alto comando britannico, convinto ancora di poter effettuare gli sbarchi e imbaldanzito dai risultati positivi conseguiti nella seconda fase, decise di insistere nell’offensiva. Il 28 settembre Haig annotò sul suo diario: «Il nemico vacilla». Tra il 9 e il 26 ottobre furono lanciate tre ondate di attacchi britannici che andarono incontro ad un insuccesso. Il fronte ripiombò nell’inerzia. I tedeschi pur subendo un tremendo attrito di perdite – per la prima volta superiori a quelle britanniche – abbandonarono la difesa rigida e tornarono ad una più elastica. Fu impiegata nuovamente anche l’iprite per respingere gli ostinati attacchi delle truppe britanniche.

In un panorama reso lunare dai bombardamenti, la battaglia si avviava al suo epilogo. Il terreno impraticabile – sul quale la morte giungeva non solo dalle armi ma anche dai crateri colmi di fango nei quali venivano letteralmente risucchiati i soldati – e il progressivo esaurimento delle truppe posero fine alla battaglia. È indicativa la frase pronunciata da un anonimo ufficiale del quartier generale britannico in visita sullo scenario infernale del campo di battaglia di Passchendaele: «Buon Dio, davvero abbiamo mandato degli uomini a combattere qui?». Frase che denota la distanza non solo psicologica ma anche fisica degli alti ufficiali - fautori dell’offensiva ad oltranza - dai propri sottoposti. Il 4 novembre i fanti canadesi conquistarono infine Passchendaele, concludendo la battaglia. Negli ultimi cinque giorni di scontri gli inglesi persero 130 ufficiali, oltre 2000 soldati mentre i feriti furono 8000. Le perdite tedesche furono ancora maggiori. Ad oggi le statistiche riguardanti il “costo umano” di Passchendaele sono dibattute. Le stime più equilibrate parlano di oltre 260.000 morti feriti, dispersi e prigionieri per parte, per un totale compreso tra le 500/600.000 perdite complessive. Tuttavia, statistiche più alte che tengono conto dei numerosi avvicendamenti dei reparti al fronte, dei decessi in ospedale e dei feriti lievi fanno salire il conteggio a oltre 400.000 perdite per contendente.

Per concludere, caso piuttosto raro, entrambe le parti in campo considerarono fin da subito Passchendaele come un fallimento e una pagina nera delle rispettive storie militari. La battaglia fu un indubbio successo tattico inglese, tuttavia, sul piano strategico si risolse in un nulla di fatto molto simile ad una débâcle, soprattutto in ragione delle grandi speranze risposte dagli inglesi nell’offensiva. Esse furono infatti esaudite solo in minima parte e non diedero seguito ad alcun sfondamento in profondità, riconfermando il carattere di logoramento della guerra sul fronte occidentale. Anche l’intento secondario di assorbire le riserve tedesche per dare respiro ai francesi si rivelò altrettanto fallimentare, in quanto Passchendaele finì per logorare e consumare principalmente le truppe britanniche, per di più su un tratto di fronte che i comandi tedeschi non consideravano importante. Infine gli inglesi non colsero lo stato di grave logoramento e crisi nel quale andò a trovarsi l’esercito del Kaiser dopo la battaglia. Lo stato maggiore tedesco – malgrado le sue truppe avessero arginato l’attacco – affermò che «La Germania era prossima alla distruzione certa dopo la battaglia delle Fiandre nel 1917» e non più in grado di sostenere un assalto di quelle dimensioni ad occidente. In ogni caso, l’inattività delle truppe francesi, la rotta italiana a Caporetto e il crollo dell’esercito russo avrebbero dato ai tedeschi l’opportunità di riorganizzarsi e preparare la Kaiserschlacht per la primavera del 1918, che secondo i piani avrebbe condotto l’esercito tedesco alla vittoria prima dell’arrivo delle truppe americane.


Gallery

Panoramica del fangoso campo di battaglia delle Fiandre [Le Miroir n. 195, 19 agosto 1917]
Soldati inglesi nelle trincee [Le Miroir n. 195, 19 agosto 1917]

Testimonianze

La battaglia di Passchendaele

Passchendaele è entrata nella memoria collettiva inglese come il simbolo tragico della Grande guerra sul fronte occidentale, nonché come la débâcle militare per antonomasia. Le ragioni di tale considerazione nei confronti di una battaglia pur conclusasi con dei buoni successi locali e perdite inferiori rispetto alla Somme, possono essere ricercate in una serie di variabili di natura sociale, psicologica e militare. In primo luogo va osservato come in Inghilterra si fosse ormai da tempo affievolito l’entusiasmo patriottico attorno alla guerra, tanto che nel gennaio 1916 il governo inglese era stato costretto ad introdurre la leva obbligatoria. L’afflusso di volontari era infatti crollato dai 462 mila del settembre 1914 a poco più di 4000 nel giugno 1917. Dopo la terribile battaglia della Somme era inoltre opinione comune che non si sarebbero ripetuti più simili massacri e al contempo la facile vittoria di Messines aveva generato la speranza di ottenere grandi successi con poche perdite. Passchendaele riportò bruscamente il popolo britannico alla realtà della guerra di logoramento. Non solo la feroce resistenza tedesca ma in particolare lo scenario lunare, reso ancora più terribile da quell’inferno di fango in cui fu trasformato il campo di battaglia, scossero a tal punto i combattenti inglesi da consegnarci un’immagine di Passchendaele come il più duro e scioccante scontro dell’esercito britannico nella Prima guerra mondiale.

Dal giornale di trincea francese Le Bochophage
L'inferno non è fuoco, sarebbe l'ultimo delle sofferenze. L'inferno è fango

Soldato H. QUIGLEY,
Passchendaele, Ottobre 1917

Pochi giorni dopo essere stato ferito, il soldato Hugh Quigley, scrive a casa dall'ospedale. Sull'azione del 9 ottobre racconta: «Gli ufficiali ci hanno raccontato la solita storiella. "Una cosa da niente" ci hanno detto, e devo ammettere avrebbe anche potuto essere facile, se avessimo avuto un inizio decente. Ma nessuno di noi, quando l'artiglieria si mise a sparare, sapeva dove andare, se a destra o a sinistra...». Quigley con i suoi compagni raggiunse il primo obiettivo, fossato fortificato alla bell'e meglio, cosparso di cadaveri tedeschi poi lo scoppio di una granata lo lasciò per qualche tempo steso a terra, privo di sensi. «Stavo per proseguire, quando qualcosa mi fece rivoltare lo stomaco. Il sergente del mio plotone, incuriosito dalla strana posizione dell'elmetto sul capo di un ufficiale morto — l'elmetto era calato molto al di sotto dell'altezza del naso —, lo sollevò e così scoprimmo che gran parte della testa non c'era più: tutta la parte superiore era stata maciullata, ridotta a una poltiglia di materia cerebrale, ossa e carne.» Fatta eccezione per questo episodio, aggiunse Quigley, «l'esperienza in sé non mi è dispiaciuta. Nei momenti di grande pericolo, come si sa, ti prende una sorta di euforia. Mi scordai completamente che le granate erano fatte per ammazzare e non per creare complessi giochi di luce». Per qualche istante Quigley rimase a guardare il tiro di sbarramento «nostro e dei tedeschi, come fosse stato uno spettacolo che ci veniva offerto per divertirci: pura follia, direte». Quello stato d'animo svanì in fretta. Uno degli uomini del suo plotone, armato di cinquecento cartucce, «volle fare l'eroe. Si lanciò in avanti, ci inviò segnali e si comportò come se fosse stato a un'esercitazione in tempo di pace. L'ultima cosa che vidi di lui furo-no due braccia che si protendevano disperatamente verso la terra e il sangue che gli colava dalla bocca, mentre le gambe e il tronco sprofondavano in un cratere di granata pieno d'acqua». Poi i tedeschi aprirono un fitto fuoco d'artiglieria, sparando iprite e lanciando bombe ad alto esplosivo. «La campagna davanti a noi sembrava un'unica massa strisciante di fiamme» scrisse Quigley. A mano a mano che avanzavano, i soldati «avevano la sensazione di entrare in un incubo, di essere sommersi da una montagna di fuoco». Le granate inglesi, a causa del tiro troppo corto, scoppiavano in mezzo ai soldati che cercavano di avanzare. «Ma quando il fango e il fumo si diradarono erano ancora lì, inzaccherati ma illesi. L'argilla imbevuta d'acqua risucchiava le bombe e gli shrapnel, rendendoli innocui.» Proprio in quell'istante piombò in mezzo a loro una granata. «Un uomo accanto a me portò le mani alle orecchie con un grido d'orrore, completamente sordo, i timpani scoppiati.» Mentre continuavano ad avanzare Quigley fu ferito da una mitragliatrice. «Quattro uomini mi trasportarono su una barella fino alla strada per Passchendaele, fra la desolazione di or-rende buche cosparse di cadaveri dissotterrati dalle granate. Ho un ricordo vivissimo: un prigioniero tedesco bianco in volto che si prendeva cura di un "camerata" ancora più terreo, con una ferita all'addome. Benché tutt'intorno scoppiassero le bombe, non lo abbandonò.» Due uomini che trasportavano un highlander ferito furono colpiti da uno shrapnel: morirono entrambi, mentre l'highlander sopravvisse. «Il guaio è che era caduto in un fetido cratere. Anch'io sono caduto un paio di volte, ma i barellieri dei Royal Army Medical Corps erano in gamba, non avevano paura di niente ed erano oltretutto gentili: si scusavano ogni volta che mi facevano sobbalzare.»

 

Sergente Robert Charles Baldwin

Al Tenente T.H.Floyd,                                                                           Ontario Military Hospital
Orpington, Kent. 15 Agosto 1917
Egregio Signore,

Con grande piacere rispondo alla sua lettera datata 5 agosto 1917. Sono molto contento di sapere che si trova al sicuro a Blighty. Mi chiede dove sono arrivato quando siamo balzati fuori [dalla trincea]. Penso si ricordi che ci ordinò di fermarci e attestarci nella terra di nessuno. Beh, mentre stavo lì, il tempo sembrava lungo; Poi mi sono alzato e sono andato in testa al plotone per vedere cosa era andato storto. Quando sono arrivato ho scoperto che non lei non c’era più e il resto degli uomini non aveva idea di dove fosse. Così ho condotto avanti il resto [del plotone], orientandomi con la bussola. Ho raggiunto la collina lasciandomi la fattoria Schuler sulla destra. Abbiamo iniziato a risalire la collina e a un certo punto è accaduto qualcosa di divertente; Quelli già in cima scendevano di corsa urlando: "Tornate indietro e trinceratevi; Ci stanno aggirando". Raccolsi l'avvertimento, mi attestai su una posizione adeguata e lasciai che gli uomini approntassero le difese. Potevamo vedere i Boches [i tedeschi] che arrivavano sulla cresta come uno sciame di api. Quando si avvicinarono aprimmo il fuoco con le mitragliatrici e i fucili. Nel frattempo l'artiglieria aveva smesso di sparare, e iniziavo a sentirmi un po' scoraggiato. Poi le cose si calmarono un po'; Così ho detto ai ragazzi di preparare del tè, cosa che li ha resi abbastanza felici. Per tutto il tempo vedemmo i Fritz prepararsi a un contrattacco e sapevamo che prima o poi sarebbe arrivato. Ho aspettato pazientemente osservando attentamente il loro arrivo. Avevo sempre più uomini fuori combattimento, fino a quando me ne rimasero solo cinque; E la mitragliatrice Lewis aveva una pallottola piantata nel caricatore che la rendeva inutilizzabile. Nulla è accaduto fino a sera, poi il bombardamento è iniziato e sapevamo che avremmo dovuto parare un assalto. Lanciai un razzo di SOS e la nostra artiglieria aprì il fuoco, ma le granate cadevano corte, colpendo i nostri uomini. Poi ci ritirammo di circa cinquanta metri occupando alcune buche da granata. Mi guardai intorno e scoprii che tutti i miei uomini erano scomparsi. Mi unii ad alcuni dei Cambridgeshires e Hertfordshires. Non sapevo cosa fare. Il fuoco dell’artiglieria si faceva più intenso e le nostre granate cadevano ancora troppo corte. In questo cratere c'era un altro sergente dei Cambridgeshires con pochi uomini; Gli dissi che tornavo indietro e che avrei cercato di mettermi in contatto con l'artiglieria. Al mio ritorno fui ferito alla gamba, e dovetti rifugiarmi in un cratere. Cominciò a piovere e piovve pesantemente tutta la notte. All’alba mi ritrovai coperto di argilla e fango, e fradicio attraverso la pelle. Iniziai a scrutare fuori e guardarmi in giro. Era una mattina tranquilla, tranne qualche granata che esplodeva di tanto in tanto, e riuscii a vedere alcuni uomini attraverso il mio binocolo, a circa un miglio di distanza, al lavoro su una strada. Mi avvicinai a loro. Come sono arrivato là non lo so, perché ero più morto che vivo. Chiesi loro dove si trovasse il posto di medicazione, che trovai dopo una lunga camminata. Sono stato poi trasferito in ospedale e inviato in Inghilterra il 6 agosto.

Sono lieto di poter dire che mi sento molto meglio e la mia ferita sta andando bene. Spero che questa mia lettera la troverà bene, ha lavorato duramente per il meritato congedo. Ho scoperto nell'elenco delle perdite che il colonnello era morto per le ferite, l'aiutante ucciso, il tenente Gratton disperso, il capitano Andrews ferito e il signor Telfer disperso. Penso averle raccontato tutte le notizie che le servivano e spero che avrà piacere nel leggerle.

Con i migliori auguri, Cordialmente,

Robert Charles Baldwin, Sergente.

 

Capitano A.F.P. CHRISTISON,
VI Battaglione,
Queen's Own Cameron Highlanders.   
    

Sabato 4 agosto il generale Gough, che era al comando della V Armata, visitò quel che restava del nostro reparto. Rimanendo a cavallo ci disse: "Beh, avete fatto del vostro meglio. Mi spiace per le vostre perdite. Sono certo che tutti vogliono vendicare i propri morti e breve preparerò un grande piano per poter tornare e vendicare i vostri compagni». Un uomo sul retro gridò con rabbia: "Sei un macellaio sanguinoso". [Gough] Si allontanò prendendo nota, ma dopo divenne noto nella V Armata come "Gough il macellaio".

 

Soldato REG LAWRENCE,
III S. African Infantry Battalion
South African Brigade.

18 Settembre, 1917. Abbiamo percorso un chilometro lungo la strada per Ypres e attraverso Ypres stessa - maestosa, anche se in rovina, e silenziosa tranne per gli echi degli stivali che marciavano sul selciato. C'era qualcosa di stupefacente in quel silenzio, spezzato solo dal rumore delle armi. Occasionalmente un proiettile illuminante brillava per un istante in lontananza, prima che il nero inchiostro lo inghiottisse. Non potevo fare a meno di pormi delle domande su ciò che mi sarebbe accaduto e per la prima volta mi sentivo nervoso. Abbiamo raggiunto le nostre trincee tutti interi ma stravolti, dando il cambio ai Manchester Fusiliers che, poveri diavoli, sembravano barcollare mentre si allontanavano. Avevamo dormito molto poco, poiché le batterie avanzate erano solo 100 metri dietro di noi e il loro rumore era prossimo alle nostre orecchie. Aprirono il fuoco prima dell'alba e quando la luminosità era buona, le esplosioni di fuoco si gonfiavano in un continuo ruggito dal momento che tutte le batterie lungo il crinale sparavano all’unisono. Ci preparammo per la battaglia, scrivemmo le nostre ultime volontà e facemmo testamento. Il mio era breve e carino, dato che avevo solo la paga di 10 sterline da lasciare. La compagnia di fratello Geoff era appostata poche centinaia di metri prima della nostra e aveva già subito alcuni vittime. Nel pomeriggio scese a trovarmi. Ci sedemmo e guardammo la truppa che arrivava in piccole colonne. Contro l’orizzonte sembravano delle linee di formiche. Roscoe osservò che non voleva morire ma se fosse capitato doveva essere rapido perché non sopportava il dolore. "Ma e Bunny?" [la fidanzata] Gli chiesi, e lui rispose: "Oh, lei lo supererà con il tempo". Alle 10 di sera ricevemmo il nostro ordine di marcia con l’indicazione della postazione dalla quale saremmo usciti all’attacco. C’era una pioggia lugubre e i nostri spiriti affondarono quando iniziammo a scivolare nel fango cadendo uno sopra l’altro. Dopo sette giorni di bel tempo era un peccato che piovesse la notte prima dell’attacco. 

 

Fuciliere HANS OTTO SCHETTER,
III Compagnia, 231 Reggimento di fanteria della riserva
50 Divisione della Riserva.

Nella notte del 19/20 settembre entriamo in prima linea. Ledeghem, l'ultima stazione aperta al traffico, è il nostro punto di arrivo. Molte colonne di munizioni transitano verso il fronte e la cannonate crescono di intensità - dandoci un benvenuto! Il nemico sta sparando feroce e la nostra artiglieria risponde. Questa mattina la fanteria britannica ha rotto le nostre prime linee, la Wilhelmstellung. Spesso dobbiamo buttarci al coperto a causa delle granate che esplodono sulla strada. Ansiosamente, guardo avanti verso il fronte dove le granate stanno scoppiando con nubi di fumo scure. Sono rimasti solo tronchi di alberi, e cerco di capire come posso capire meglio questo inferno. Sto guardando a bordo della strada per cercare i veicoli del reggimento 231. Stiamo procedendo con pacchi di caffè e sacchi di pane verso il nostro reparto, che ha occupato dei buchi da granata e quel che resta delle trincee - la posizione delle Fiandre. Sto osservando ansiosamente il campo di battaglia: i bunker in cemento contraddistinguono la posizione. Non ci sono alloggi per noi, quindi di notte dormiamo in un fienile in cima alle patate. Alle 3 del mattino siamo svegliati e ci incolonniamo compatti sulla strada Menin-Ypres. Su entrambi i lati della strada le nostre batterie stanno sparando e le loro salve di acciaio ricevono risposta immediata dal nemico. Dobbiamo spostarci velocemente perché sono quasi le 6 del mattino e dobbiamo raggiungere la nostra linea prima dell'alba. Arriviamo alla postazione sul fronte, da dove siamo guidati ai nostri reparti che occupano dei crateri di granata a 150 metri di distanza. I soldati sono riluttanti a lasciare i loro buchi e non sono desiderosi di mangiare. Tutta la terra è arata dalle granate, le buche sono piene di acqua e se non si viene uccisi dalle granate si può annegare nei loro crateri. I carri distrutti e i cavalli morti vengono spostati ai lati della strada; Anche qui, ci molti soldati morti. Feriti gravi che sono morti nel carro ambulanza e che sono stati scaricati qui con gli occhi che ci fissano. A gli volte manca un braccio o una gamba. Ognuno sta correndo, correndo, cercando di sfuggire a una morte certa in questa grandine di granate nemiche sulla strada, che è l'unico passaggio agibile dato che i campi sono coperti di crateri. Riesco a respirare più facilmente quando raggiungiamo il nostro carro cucina. Oggi ho visto il vero volto della guerra.

 

Soldato LEONARD HART,
1st Otago Infantry Battalion,
5th New Zealand Reinforcements

Francia, 19 Ottobre, 1917
Carissima madre, Padre e Connie, in una cartolina, che ti ho inviato circa due settimane fa, ti dicevo che eravamo alla vigilia di un grande evento. Beh, quel grande evento è finito, e per qualche strano colpo di fortuna, sono tornato ancora una volta senza un graffio. Per la prima volta nella nostra breve storia come esercito, i neozelandesi hanno fallito nel loro obiettivo, il massacro più spaventoso che abbia mai visto. Il mio reparto è entrato in azione forte di 180 uomini e siamo tornati in 32. Tuttavia, non abbiamo nulla di cui vergognarci, il nostro stesso comandante dopo ci ha detto che nessun reparto al mondo avrebbe potuto prendere quella posizione, ma questo è solo un piccolo conforto quando pensiamo alle centinaia di vite che sono state perdute inutilmente. La nostra brigata ha ricevuto ordini per supportare una brigata di Tommies che due notti prima era avanzata di duemila metri. Tuttavia, questi Tommies non erano riusciti a prendere il loro ultimo obiettivo e ora toccava a noi cercare di conquistarlo. Al crepuscolo, siamo partiti in pieno ordine di combattimento. Il tempo era stato umido e freddo per alcuni giorni e il fango in alcuni punti arrivava fino alle ginocchia. Il terreno, prima di essere preso ai tedeschi, era diventato tutto un acquitrino a causa delle nostre granate e per quei cinque chilometri che portavano alla nostra trincea in prima linea non c'era nient'altro che una desolazione completa, non un filo d'erba o albero, numerose cisterne bloccate nel fango, e per il resto, solo un cratere dopo l’altro. Le uniche strutture per nulla intaccate dal bombardamento erano le postazioni delle mitragliatrici tedesche. Queste sono strutture meravigliose in calcestruzzo con pareti spesse dieci metri di calcestruzzo rinforzato con ferri ferroviari e barre in acciaio. Il terreno era disseminato con i cadaveri di numerosi Unni e Tommies. I cavalli e i muli morti erano ovunque, ma non erano stati fatti tentativi di seppellire nessuno di loro. Beh, alla fine siamo arrivati ​​a destinazione – la prima linea - e rincalzato gli spossati Tommies. Non avevano tentato di scavare trincee, ma avevano semplicemente tenuto la linea occupando una lunga fila di crateri da granata, con due o tre uomini in ogni buca. Molti di loro sembravano troppo stravolti per camminare bene e non so come alcuni riuscissero ad attraversare la lunga passerella attraverso il fango verso gli alloggi. Ognuno di noi aveva con sé una pala, quindi abbiamo deciso di scavare qualche trincea. A questo punto eravamo circa a metà strada su un pendio della cresta che nel corso di quarantotto ore dovevamo cercare di prendere. Il fango non era così brutto perché l'acqua scorreva verso una palude ai piedi della cresta. Comunque, all'alba, avevamo scavato a sufficienza e, sebbene bagnati e coperti di fango da capo a piedi, ci sentivamo pronti per mangiare pane e carne di manzo, per la prima colazione. Ci siamo alloggiati nelle nostre nuove trincee tutto quel giorno e anche il seguente durante il quale ha piovuto e i Fritz ha reso le cose vivaci con la loro artiglieria. Alle tre della terza mattina abbiamo ricevuto l’ordine di attaccare la cresta alle 5:30. Era buio e pioveva pesantemente. Quando tutto era pronto ci hanno detto di metterci giù e aspettare l'ordine di caricare. Lo sbarramento della nostra artiglieria doveva iniziare alle 5:25, battendo con una cortina di fuoco le posizioni tedesche sulla cima, un centinaio di metri di fronte a noi. Alle venticinque e un secondo, e con un ruggito che scosse il terreno, le nostre artiglierie aprirono il fuoco su un settore di cinque miglia. A causa di qualche errore di taratura lo sbarramento d'artiglieria si aprì a circa duecento metri di distanza rispetto al punto indicato, cadendo proprio in mezzo a noi. Era un momento veramente terribile: dozzine dei nostri uomini venivano fatti a pezzi dai nostri stessi cannoni. Ho sentito un ufficiale gridare, ordinando agli uomini di ritirarsi a breve distanza e aspettare che lo sbarramento di fuoco si allungasse. Alcuni, che avevano sentito l'ordine, arretrarono. Altri, senza sapere che cosa fare in queste circostanze, rimasero dove si trovavano, mentre altri avanzarono verso le posizioni tedesche solo per essere abbattute dal fuoco mortale dei fucili e delle mitragliatrici. Finalmente il nostro sbarramento si alzò e noi tutti ancora una volta ci radunammo e iniziammo a correre su per la cresta. Quale fu il nostro sgomento quando, raggiunta quasi la cima della cresta, trovammo una lunga fila di postazioni tedesche in calcestruzzo per mitragliatrici, praticamente intatte, con campi di filo spinato davanti ad esse profondi 50 metri! Il filo era stato tagliato in pochi punti dalla nostra artiglieria, consentendo di far passare solo pochi uomini alla volta. Decine sono rimasti impigliati nel filo e colpiti davanti agli occhi dei compagni. Era ormai giorno e quelli che rimanevano di noi si resero conto che la giornata era persa. Di conseguenza, ci siamo appostati in buche o in qualsiasi ricovero che potevamo trovare e aspettammo. Ogni uomo che tirava su la testa veniva colpito immediatamente. Arrivavano colpi fenomenali da quelle armi. Avevamo perso quasi l'ottanta per cento della nostra forza e avevamo guadagnato circa trecento metri di terreno nel tentativo. Questi trecento metri erano inutili per noi con i tedeschi ancora attestati in posizione dominante sulla cresta. Aspettammo tutto il giorno e la notte. Non c'era nessuno che ci desse ordini, tutti i nostri ufficiali del battaglione erano stati uccisi o feriti. Tutti gli ufficiali della mia compagnia erano stati uccisi, uno dei quali, un figlio del Reverendo Ryburn di Invercargill, è stato ucciso vicino a me. Il secondo giorno dopo questa tragedia, siamo rimasti sorpresi di vedere che circa una mezza dozzina di Unni apparire improvvisamente agitando una bandiera bianca. Erano uomini di Croce Rossa e stavano chiedendo una tregua per prendere i feriti e seppellire i loro morti. Era un atto umano e cavalleresco. I nostri barellieri riuscirono a prendere tutti i nostri feriti dal filo spinato prima della notte. Non avevamo tempo di seppellire i nostri morti, ma i feriti avevano la precedenza in quel momento, tuttavia sono uscito e ho seppellito il povero Ryburn. La mia compagnia è rientrata con nessun ufficiale, solo un sergente su sette, un corporale e trenta uomini. E comunque non siamo stati i peggiori. Ho appena deciso di inviare questa lettera a qualcuno in viaggio per l’Inghilterra, quindi ti racconterò alcuni altri fatti, che non sarebbe stato consigliabile menzionare altrimenti. È stato fatto un terribile errore. Qualcuno è responsabile di quel filo spinato che non era stato spezzato dalla nostra artiglieria. Qualcuno è responsabile dell'apertura del fuoco di sbarramento su di noi invece che 150 metri più avanti. Qualcun altro è responsabile di quegli appostamenti di mitragliatrici rimasti praticamente intatti, ma i giornali diranno tutti che in quel giorno abbiamo colto un altro glorioso successo, e nessuno, tranne quelli che hanno effettivamente preso parte ad esso, conosceranno come è andata veramente. Ora ti racconterò uno o due altri piccoli incidenti che non arrivano mai alla stampa, o se ciò avviene, vengono "censurati" per ingannare il pubblico. Questo incidente, quasi incredibile ma perfettamente vero, è il seguente. La notte dopo aver rimpiazzato i Tommies, prima del nostro attacco sul crinale, siamo rimasti sorpresi di sentire le grida agonizzanti di un portabandiera, "Aiuto", Per amor di Dio venite qui", ecc. provenienti da tutti i lati. Quando la luce del giorno arrivò, tutti noi, me incluso, rimanemmo scoraggiati e stupiti vedendo che in un cratere di granata lì vicino, da dove provenivano le grida, una mezza dozzina di Tommies, feriti gravi, alcuni resi folli, altri quasi morti di fame, si trovano bloccati nel fango e troppo deboli per muoversi.

Abbiamo chiesto a un uomo che sembrava stare un po' meglio degli altri cosa stesse accadendo, e egli rispose che se avessimo voluto strisciare tra i crateri intorno a lui, ne avremmo trovati decine di altri in condizioni simili. Siamo rimasti sbalorditi, ma la terribile verità era tale, questi ragazzi, feriti in difesa del loro paese, erano stati lasciati lì a morire senza alcuna considerazione, la più terribile delle morti, nel fango, semi-congelati, mentre decine di migliaia di uomini abili erano accampati a non più di cinque miglia da loro. Tutti questi Tommies (erano principalmente uomini dei reggimenti di York e Lancaster) erano stati feriti durante il loro fallito attacco sul crinale che avevamo poi cercato di prendere noi e nel momento in cui li abbiamo trovati, dovevano essere nel fango e sotto la pioggia ormai da quattro giorni. Quelli che erano ancora vivi erano sopravvissuti grazie razioni e all'acqua che avevano portato con loro o forse l'avevano presa ai compagni morti accanto a loro. Ho visto scene piuttosto brutte durante i due anni e mezzo di servizio attivo, ma devo dire che questa mi ha molto scosso. Li abbiamo trascinati verso le nostre trincee e nel giro di un'ora tutti i nostri barellieri erano al lavoro come degli eroi quali erano, e in faccia al nemico che, a suo merito, non ha aperto il fuoco su di loro. Hanno lavorato tutto il giorno per salvare quei Tommies. Trasportare feriti in un terreno coperto al fango, è il lavoro più duro che si possa immaginare e non voglio dire che i Tommies feriti (i sopravvissuti del primo attacco a Passchendaele Ridge) fossero fisicamente capaci di farlo, ma io dico che i loro ufficiali avrebbero dovuto mandare uomini freschi che portassero via i feriti che non erano in grado di muoversi. Forse hanno mandato qualcuno in aiuto, ma rimane il fatto che nulla è stato fatto fino a che i nostri ragazzi non si sono avvicinati e chiunque sia responsabile del sacrificio inutile di quelle vite merita di essere preso a fucilato più di qualsiasi altro Unno. Se avessero chiesto una tregua per raccogliere i loro feriti, non dubito che gli Unni l’avrebbero concessa poiché loro come i Tommies avevano numerosi feriti da assistere. Suppongo che i nostri leader sulla poltrona chiamino questa cosa testardaggine britannica. Se questo rappresenta l'ostinazione britannica allora è il momento di chiamarlo con un nuovo nome. Vorrei suggerire brutalità insensibile come sostituto. Dopo aver letto questo non credete alla nostra stampa menzognera, che vi racconta come tutta la brutalità di questa guerra è opera degli Unni. L’Unno non è un angelo, tutti lo sappiamo e la concessione di una tregua, come quella che abbiamo avuto, è un fatto raro. In particolari reggimenti che stavano tenendo la cresta al momento del nostro attacco sono conosciuti come "Jaegers", ma nonostante tutte le terribili perdite che questi Jaegers ci hanno inflitto, noi sopravvissuti di Passchendaele Ridge dobbiamo tutti ammettere che in questa occasione hanno combattuto con onore. Domani ci aspettiamo di essere spostati a circa venti miglia di distanza da qui, dove ci riorganizzeremo e riceveremo rinforzi freschi. Non mi dispiace muovermi un po’.

Con i migliori auguri,
Rimango in attesa di vostre nuove,
Il tuo figlio affezionato,
Len.

 

Fuciliere V. SHAWYER
XIII Battaglione,
The Rifle Brigade

Sulla Somme prima o poi i barellieri venivano a prenderti, ma a Passchendaele i feriti non avevano scampo. Un medico disse ad un barelliere: "Recuperi solo gli uomini che abbiano la possibilità di essere curati. Se trovate un uomo gravemente ferito, lasciatelo morire tranquillamente. Troppe volte portate qui dei feriti che muoiono prima che possiamo aiutarli State perdendo il vostro tempo e il nostro." Pensavo che fosse una cosa terribile da dire. Ma quello era Passchendaele!


Link

https://www.visitflanders.com/it/temi/i-luoghi-della-Grande-Guerra/la-battaglia-di-ypres/terza-battaglia-di-ypres/
https://www.visitflanders.com/it/scegli-l-attivita/activities/museum/yper-museum-390069.jsp

 


Letture

Rubin Prior, Trevor Wilson, Passchendaele: The Untold Story, Reprint edizione, 2016
Nick Lloyd, Passchendaele: A New History, Penguin, 2017
Bob Carruthers, Passchendaele: By Those Who Were There, Pen & Sword, 2022
Andrew Rowson, The Passchendaele Campaign 1917, Pen & Sword, 2017