La ritirata sulla Linea Hindenburg e la “dittatura silente” dello stato maggiore tedesco

di Alessandro Salvador

“Non mi sembra essere abbastanza riconosciuto tra gli ufficiali che l’esistenza o la non-esistenza del nostro popolo e del nostro Impero č a rischio”.
Paul von Hindenburg

Il 3 febbraio 1917, l’esercito tedesco diede il via ad una colossale operazione di ripiegamento sul fronte occidentale. Nota come “Operazione Alberico”, la ritirata strategica voluta dal capo di stato maggiore Paul von Hindenburg, doveva concludersi in 35 giorni e aveva l'obiettivo di occupare una linea difensiva arretrata, la Siegfriedstellung, o Linea Hindenburg. 
Si trattava di un insieme organico di fortificazioni, la cui preparazione era iniziata già nell’agosto del 1916, situato lungo il saliente di Noyon, nella zona nord-occidentale della Francia. La decisione di ripiegamento derivava dalla situazione difficile che era venuta a crearsi in seguito alla fallimentare offensiva dei tedeschi presso Verdun e la successiva sconfitta che si stava profilando sulla Somme. A questo si aggiungevano le conseguenze rovinose dell’offensiva Brusilov sul fronte orientale e l’entrata in guerra della Romania
La situazione di crisi che si era creata era costata il posto al capo di Stato maggiore Erich von Falkenhayn, a cui era succeduto Paul von Hindenburg, affiancato da Erich Ludendorff, nell’estate del 1916. 
L’assestamento sulla nuova linea aveva lo scopo di ridurre il fronte tedesco di almeno 50 chilometri con un consistente risparmio in termini di uomini e materiali. Inoltre, durante la ritirata i tedeschi distrussero infrastrutture ed edifici civili, facendo terra bruciata alle loro spalle. L’intero concetto difensivo alla base della Linea Hindenburg mirava ad una ottimizzazione delle risorse e alla creazione di una difesa considerata impenetrabile. Incentrata su un sistema di cinque fortificazioni principali, la linea prevedeva anche una serie di avamposti destinati a disturbare e indebolire ogni eventuale offensiva nemica. 
In un contesto più generale, questa ritirata era organica al rinnovamento completo delle strategie e delle tattiche tedesche messe in atto dal nuovo stato maggiore. L’autorità di questo iniziò ad estendersi ben oltre le questioni militari. Il cosiddetto “Piano Hindenburg” prevedeva, infatti, un impiego consistente di risorse e manodopera per ottenere in breve tempo il raddoppio della produzione industriale tedesca e permettere di tenere il passo col nemico. 


Lo stato maggiore, in quel periodo, esautorò di fatto le autorità civili e lo stesso imperatore, creando una situazione che in seguito verrà definita la “dittatura silente”. A produrre questa situazione contribuì anche il culto della personalità che si andò sviluppando attorno alla figura di Hindenburg. Nei paesi della Germania venivano erette statue in legno in suo onore e il mito cresceva attorno alla sua persona. A partire dalle grandi vittorie ottenute a inizio guerra a Tannenberg e ai Laghi Masuri, Hindenburg impersonava i principali caratteri tipici dell’eroe tedesco: forza, rettitudine e onore. Il mito attraversava trasversalmente classi, confessioni e generazioni tedesche. Era particolarmente diffuso e propagato, però, tra l’aristocrazia dei proprietari terrieri prussiani, i cosiddetti Junker
Pur rifiutando formalmente la definizione di dittatura militare, Hindenburg e il suo staff non limitarono in alcun modo le ingerenze sulla vita politica ed economica della Germania, oltre al controllo intenso sulla propaganda e sulla comunicazione. 
Il limite principale del piano Hindenburg si rivelò la gestione della forza lavoro. Sia la costruzione della Linea Hindenburg, sia il piano per l’industria richiedevano, infatti, l’impiego di milioni di uomini che sarebbero stati tolti dal fronte. Questo problema fu parzialmente risolto con l’impiego sistematico di prigionieri russi e con la ricollocazione di forza lavoro proveniente dalle campagne e dalla produzione alimentare. Questo fu, d’altro canto, uno dei motivi per cui, verso la fine della guerra, la Germania si trovò in una situazione di carestia e insufficienza alimentare.  
La parabola di Hindenburg e del suo stato maggiore si concluse nell’autunno del 1918. In settembre, Ludendorff suggerì di cercare un compromesso con l’Intesa per giungere ad un armistizio, cambiando però idea da lì a poco e dimettendosi. Successivamente fu Hindenburg a gestire il processo di passaggio del potere alle autorità civili, la nomina di un cancelliere come Max von Baden, e a premere per convincere l’imperatore ad abdicare. 


Gallery

Soldati avanzano attraverso una strada de l'Ancre la ritirata dei Tedeschi [AF MISGR Le Miroir, n. 172 (1917)]
Sul terreno conquistato a Nord de l'Ancre: un pezzo d'artiglieria pesante inglese trainato da cavalli [AF MISGR Le Miroir, n. 173 (1917)]

Biografia

Mata Hari, Margaretha Geertruida Zelle

Figlia di Adam Zelle e di Antje van der Meulen, Margaretha nacque in una cittadina situata nella provincia settentrionale olandese della Frisia. Il padre, uomo agiato, le garantì una solida istruzione, permettendole di frequentare istituti in cui le fu possibile imparare diverse lingue. Dopo la bancarotta del genitore ed il conseguente sgretolamento della famiglia Zelle, Margaretha, ormai quindicenne, divenne studentessa in una scuola per maestre d’asilo a Leida. Successivamente si trasferì presso uno zio all’Aja, da dove rispose all’annuncio letto su un giornale, scopo matrimonio, del suo futuro consorte, un ufficiale, Rudolph Mac Leod, di molti anni più anziano di lei. I due si sposarono nel 1895 e nel 1897 venne alla luce il loro primogenito, Norman John, dopo la nascita del quale i coniugi Mac Leod partirono per le Indie orientali olandesi. Nel 1898, a Toempoeng, nacque anche la loro bambina, Jeanne Louise, detta Non, ma il carattere burbero di Rudolph e la sua propensione verso il gentil sesso minacciarono ben presto la serenità della coppia. Nel 1899, Norman e Non furono avvelenati e per il bimbo non ci fu nulla da fare. Questa tragedia allontanò ancor più marito e moglie che, tornati in Olanda nel 1902, ottennero la separazione legale. Mac Leod tenne con sé sua figlia, mentre Margaretha partì per la tanto agognata Parigi, dove, nel 1905, debuttò come danzatrice orientale. Fu allora che nacque Mata Hari, in malese “occhio del giorno”, cioè sole: da quel momento, la sua fama crebbe a dismisura. La particolarità dei suoi movimenti e l’interpretazione delle sue danze, nonché i veli succinti che indossava e che ben poco lasciavano all’immaginazione la portarono presto a diventare l’idolo di Parigi e ad esibirsi non solo in case e circoli privati, bensì in molti teatri d’Europa. La sua celebrità le procurò innumerevoli amanti e ricchezza, ma i soldi guadagnati le bastavano a fatica a soddisfare il suo lussuoso tenore di vita. Dopo la mancata esibizione a Berlino a causa dello scoppio della guerra, Mata Hari fece ritorno in Olanda ed affittò una casa all’Aja. In seguito alla visita che qui ricevette da parte di uno dei consoli tedeschi ad Amsterdam e complice il suo frequente peregrinare di Paese in Paese, su Margaretha si cominciarono ad insinuare le ombre del sospetto, da parte degli Inglesi ancora prima che dei Francesi. Durante un suo spostamento per raggiungere momentaneamente la Francia nel dicembre 1915, militari ed agenti di polizia britannici la perquisirono e divulgarono informazioni su di lei, segnalandola sia alle autorità inglesi che a quelle francesi. Fu il viaggio successivo verso Parigi però, iniziato nel maggio 1916, ad esserle fatale. Mata Hari era allora innamorata di Vadim de Massloff, capitano del primo reggimento speciale imperiale russo: per raggiungerlo a Vittel, cittadina ai piedi dei Vosgi in zona di guerra, fu indotta a bussare alla porta del capitano Ladoux, capo del servizio segreto francese, che le accordò il permesso di partire, ma che soprattutto le propose di lavorare nel campo dello spionaggio francese, facendola seguire da agenti del controspionaggio. La sorveglianza di Margaretha da parte di Ladoux era iniziata in realtà ben prima, nel 1915, su richiesta di Scotland Yard, senza peraltro che emergesse mai nulla a carico della donna. Di ritorno da Vittel e decisa a lavorare per la Francia, d’accordo con Ladoux, si diresse in Spagna per poi imbarcarsi alla volta dell’Olanda. Quando la sua nave attraccò in Cornovaglia, gli ufficiali del servizio segreto che vi salirono a bordo la prelevarono, scambiandola per Clara Benedix, sospetta spia tedesca proveniente da Amburgo, la arrestarono e la rilasciarono, convinti del contrario, solo dopo quattro giorni di interrogatori e con la restrizione di non poter raggiungere l’Olanda, ma imponendole di tornare in Spagna, a Madrid. La ballerina che aveva incantato con le sue danze l’Europa di inizio Novecento si paventava fosse una spia tedesca. Voci ostili cominciarono a girare sul suo conto e da Parigi non arrivavano direttive. Margaretha partì per la capitale francese decisa a domandare spiegazioni, ma nessun tentativo di dialogo andò a buon fine ed il 13 febbraio 1917 venne condotta nella prigione di Saint Lazare. Fu l’inizio della fine: in una Francia sconvolta dalla guerra e prostrata da pesantissime perdite, Mata Hari non sarebbe più stata rimessa in libertà e, dopo otto mesi di interrogatori volti a far luce sulla natura dei suoi rapporti con i Tedeschi, sarebbe stata giustiziata, senza che fosse addotta nessuna prova concreta della sua colpevolezza. Durante i numerosi interrogatori a cui il capitano Bouchardon sottopose Margaretha, quest’ultima ammise di aver accettato di lavorare come spia per la Germania in cambio di denaro, ma confessò di aver fornito al Paese avversario informazioni datate ed in parte inventate, a favore della Francia, che mai avrebbe tradito. Nonostante ciò, l’esito del processo che subì in luglio fu negativo; lei stessa si mostrò incredula di fronte alla sentenza di condanna a morte. All’alba di lunedì 15 ottobre 1917, Mata Hari fu portata in un vasto piazzale, il poligono di Vincennes, davanti a dodici soldati del quarto reggimento Zuavi. Non volle essere legata al palo, rifiutò di mettere la benda sugli occhi e, dopo la lettura della sentenza, venne giustiziata. Alle sei e un quarto di quella mattina Margaretha era morta ed il suo corpo fu utilizzato ai fini del progresso in ambito medico, senza mai essere composto in una tomba dove poter riposare in pace. 

 

Bibliografia

Corni Gustavo, Fimiani Enzo, Dizionario della Grande Guerra, L’Aquila, Textus Edizioni, 2014 
Scaraffia Giuseppe, Gli ultimi giorni di Mata Hari, Torino, Utet, 2015
Waagenaar Sam, La vera storia di Mata Hari, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1987

 


Link

http://greatwarphotos.com/category/hindenburg-line/
http://www.awm.gov.au/exhibitions/1918/battles/hindenburg/
https://www.history.com/this-day-in-history/allied-forces-break-through-the-hindenburg-line 

 


Letture

Robert B. Asprey, The German high command at war: Hindenburg and Ludendorff conduct World War I, New York, W.Morrow 1991
Peter Oldham, The Hindenburg line, London, Leo Cooper 1997
Stephen L. Harris, Duty, honor, privilege: New York’s silck stocking regiment and the breaking of the Hindenburg line, Washington D.C., Brassey’s 2001
John Lee, The Warlords: Hindenburg and Ludendorff, London, Weidenfeld and Nicholson 2005
Robert Asprey, L’alto comando tedesco, Milano, Rizzoli 1993