L’entrata in guerra degli Stati Uniti

di Alessandro Salvador

“Il mondo deve essere reso sicuro per la democrazia. La sua pace deve essere piantata sopra le sicure fondamenta della libertą politica”.
Woodrow Wilson, Discorso al Congresso, 2 aprile 1917

Il 6 aprile 1917, gli Stati Uniti d’America dichiararono guerra alla Germania. Singolarmente, non fu dichiarato lo stato di belligeranza con nessun altro degli imperi centrali o dei loro alleati. Solo all’Austria Ungheria fu consegnata una dichiarazione di guerra nell’estate del 1918. Sino ad allora, gli Stati Uniti erano rimasti neutrali. Non si trattava, però, di una neutralità imparziale, poiché gli americani erano i principali partner commerciali dell’Intesa e il loro ruolo nell’approvvigionamento dei paesi che lottavano contro la Germania fu fondamentale. 
Sfortunatamente, però, questo esponeva i convogli commerciali americani agli attacchi della marina da guerra tedesca e, in particolare, dei suoi sommergibili. Un caso che fece particolarmente scalpore fu, nel 1915, l’affondamento del transatlantico civile Lusitania. La guerra sottomarina indiscriminata fu uno dei motivi di maggiore attrito tra gli Stati Uniti e la Germania che, ad un certo punto, impose delle forti limitazioni a questo tipo di pratica. 
Sul piano interno, l’America era profondamente divisa. I repubblicani, avversari del presidente in carica, Woodrow Wilson, premevano per l’ingresso in guerra. A capo della fazione dei “falchi” vi era Theodore Roosevelt, ex presidente noto per il suo atteggiamento risoluto e interventista. L’opinione pubblica, però, era divisa e, ancora al momento dell’entrata in guerra, una lieve maggioranza sembrava essere ancora contraria al conflitto
Va osservato, però, che eventi come quello del Lusitania, la guerra sottomarina e le notizie dei crimini tedeschi in Belgio contribuirono significativamente a muovere il popolo americano verso posizioni più interventiste
L’atteggiamento americano nei confronti del conflitto era fortemente idealista e plasmato dal carattere personale del presidente Wilson. La sua idea era che, se una guerra doveva essere combattuta, questo sarebbe dovuto servire per porre le basi di una pace duratura e di un nuovo ordine europeo e mondiale basato sul principio della democrazia liberale e della autodeterminazione dei popoli. Gli Stati Uniti erano tendenzialmente favorevoli ad impegnarsi contro le monarchie autoritarie e anacronistiche degli imperi centrali. 
 

Fu solo all’inizio del 1917, però, che le condizioni si dimostrarono favorevoli. La rivoluzione russa di febbraio e l’abdicazione dello zar, in primo luogo, eliminarono il problema, particolarmente sentito in America, di un’eventuale alleanza con un regime monarchico e antiliberale. La ripresa della guerra sottomarina indiscriminata riattizzò, al contempo, le tensioni con la Germania. A servire da casus belli, però, fu il cosiddetto “telegramma Zimmermann”. Si trattava di una comunicazione del ministro degli esteri tedesco, Zimmermann, nella quale si prospettava la possibilità di un’alleanza col Messico in funzione antiamericana. Intercettato dai servizi britannici, il telegramma fu la goccia che fece traboccare il vaso. 
In seguito alla dichiarazione di guerra, gli Stati Uniti cominciarono a inviare finanziamenti e massicci rifornimenti di materiale bellico, materie prime e approvvigionamenti ai paesi dell’Intesa. Fu solo nell’agosto del 1917, però, che le prime truppe americane arrivarono in Europa, al comando del generale John Pershing. La mobilitazione totale coinvolse circa 4.000.000 di uomini, ma gli arrivi furono estremamente diluiti. Solo all’inizio del 1918, il corpo di spedizione americano riuscì a dislocare almeno un milione di uomini in Francia. 
Dal punto di vista tattico e dell’addestramento, i soldati americani pagavano la mancanza di esperienza nella guerra di trincea e i comandanti prediligevano la tattica degli assalti frontali, ormai inefficace contro i reparti veterani tedeschi. Le perdite americane, a fine conflitto, furono di circa 110.000 uomini, di cui metà falcidiati dall’influenza spagnola. 
Sebbene la presenza del corpo di spedizione americano si sia dimostrata rilevante solo in un secondo tempo, l’afflusso di truppe fresche ha avuto un peso, soprattutto sull’offensiva dei cento giorni che ha concluso la guerra. Il peso del contingente americano fu anche amplificato dalla presenza di un nemico ormai stremato e incapace di sostituire le proprie perdite


Gallery

Soldati alleati che inviano il discorso tenuto dal presidente Wilson il 2 aprile 1917 oltre le linee nemiche [AF MISGR Le Miroir, n. 182 (1917)]
Manifestazioni di entusiasimo a New York per l'entrata in guerra degli U.S.A [AF MISGR Le Miroir, n. 182 (1917)]

Biografia

Thomas Woodrow Wilson

Thomas Woodrow Wilson nacque a Staunton, in Virginia, nel 1856 e crebbe ad Augusta, nello Stato della Georgia. I suoi genitori erano il reverendo Joseph Ruggles Wilson e Janet Woodrow. La sua infanzia fu influenzata dalla guerra di secessione, in quanto la sua famiglia supportava apertamente la confederazione. Essi curavano i feriti dell’esercito confederato nella loro chiesa e permisero al figlio di vedere il presidente Jefferson Davis sfilare in manette tra il vittorioso esercito unionista. Nonostante soffrisse di dislessia, Wilson imparò da solo la stenografia per compensare le sue difficoltà e fu capace di riuscire accademicamente grazie alla determinazione e all'auto-disciplina, ma non riuscì a superarla del tutto. Frequentò il Davidson College per un anno e quindi si trasferì alla Princeton University, laureandosi nel 1879. In seguito studiò legge all’Università della Virginia per un anno per poi trasferirsi alla Johns Hopkins University dove nel 1886 ottenne il titolo di dottore in scienze politiche. Fu l’inizio di una brillante carriera universitaria: dal 1890 fu a Princeton e nel 1902 fu eletto direttore dell’università mantenendo l’incarico fino al 1910. 
Avverso all’eccessivo potere guadagnato dal Congresso dopo la guerra di secessione, Wilson fu sostenitore del parlamentarismo, in modo da rafforzare il governo statunitense di fronte alle Commissioni del Congresso, che egli riteneva facilmente permeabili alla corruzione. Al contempo era un convinto assertore del fatto che i presidenti dovessero essere capi di partito allo stesso modo di un primo ministro. Le sue tendenze riformiste all’interno dell’università attirarono le attenzioni dei democratici del New Jersey che gli proposero di candidarsi alla carica di governatore dello stato. La vittoria alle elezione del 1910 lanciò la sua carriera politica. Come governatore del New Jersey adottò una serie di riforme tese a combattere la corruzione e a proteggere l’amministrazione pubblica dalle ingerenze dei grandi trust. Candidato dal Partito democratico alla Casa Bianca e nel 1912 vinse le elezioni con una schiacciante maggioranza sui due candidati repubblicani: Theodore Roosevelt e William Howard.
Insediatosi ufficialmente il 4 marzo 1913, Wilson proseguì la sua azione riformatrice a livello nazionale, promuovendo la riduzione delle tariffe doganali, il controllo federale sul sistema bancario, l’applicazione della tassazione progressiva e la legalizzazione dello sciopero. Fu altresì vietato il lavoro minorile, mentre la giornata lavorativa degli addetti all’industria ferroviaria fu ridotta a otto. Pur essendo contrario ad interferire pesantemente negli affari esteri – tentando di promuovere una cooperazione con gli stati latino-americani – la presidenza Wilson fu comunque caratterizzata da diversi interventi militari, in ossequio alla dottrina Monroe. Nel 1915 gli Stati Uniti assunsero il controllo diretto di Haiti, nel 1916 sbarcarono a Santo Domingo, ove instaurarono un governo militare, e nel marzo dello stesso anno avviarono una campagna militare in Messico con l’obiettivo di catturare Pancho Villa e bloccare le incursioni di ribelli e banditi messicani in territorio americano. Spedizione dagli esiti strategicamente fallimentari e che si concluse con il ritiro americano nel febbraio del 1917.
Allo scoppio del Primo conflitto mondiale, nel 1914, restò fedele al suo impegno di mantenere l’America neutrale, ma fin dall’inizio del conflitto, tentò comunque di porsi senza successo come mediatore tra i belligeranti. Nei primi anni del conflitto, pur mantenendo i tradizionali stretti rapporti con l’Inghilterra, e nonostante le acque attorno alle isole britanniche fossero state dichiarate zona di guerra, Wilson tese ad assumere un atteggiamento super partes. Nel settembre del 1914 protestò vivamente contro il blocco navale imposto dalla Gran Bretagna alla Germania, sostenendo che avrebbe avuto ripercussioni negative sull’opinione pubblica americana. 
Il 7 maggio 1915, il sommergibile tedesco U20 affondò senza preavviso il piroscafo Lusitania: annegarono 1198 passeggeri, dei quali 128 americani. Il fatto sconvolse l’opinione pubblica americana e Wilson inviò una dura nota di biasimo nel quale affermava che «Nessun avviso che si commetterà un atto illegale o disumano può essere accettato come scusa legittima di quell’atto». Tuttavia, Wilson, malgrado l’indignazione dell’opinione pubblica, non richiamò l’ambasciatore a Berlino, mantenendo la neutralità americana e proseguendo i rapporti diplomatici con la Germania.
A riconferma di tale atteggiamento, Wilson si scontrò duramente anche con Londra, di nuovo a causa di un incidente sui mari. Il 19 agosto dello stesso anno, il sommergibile tedesco U27 cannoneggiò e costrinse a fermarsi la nave da carico Nicosian, in viaggio da New Orleans verso l’Inghilterra. Un mercantile blindato inglese, il Baralong, si avvicinò all'U27 issando la bandiera a stelle e strisce per fingersi americano. A bordo nascondeva tre cannoni navali e un plotone di Royal Marines. Ammainata la bandiera statunitense, il Baralong innalzò quella britannica e aprì il fuoco contro il sommergibile. Dodici membri dell'equipaggio tedesco si buttarono in mare. Gli inglesi, erano convinti - a torto - che quegli uomini fossero colpevoli di aver affondato poche ore prima un’altra nave, l'Arabic. Sei tedeschi furono uccisi subito, mentre altri sei, rifugiatisi nella sala macchine della Nicosian, furono snidati e uccisi e i loro corpi gettati in mare. L'ambasciatore tedesco a Washington protestò perché la bandiera statunitense era stata usata «per uccidere marinai tedeschi», un atto che in privato il segretario di Stato americano Robert Lansing definì «sconvolgente». 
Tuttavia, i cospicui crediti e rifornimenti che gli Stati Uniti concedevano alla Gran Bretagna e alle altre potenze alleate iniziavano a minare la neutralità americana. Nei primi mesi del 1916 in Germania iniziò una violenta campagna anti-americana. Il 27 gennaio a Berlino, in occasione del genetliaco del Kaiser, venne issata sulla statua di Federico il Grande una bandiera americana listata a lutto, con un nastro su cui erano incise le parole: «Wilson e la sua stampa non sono l’America». Le immagini della manifestazioni ebbero ampia diffusione dentro e fuori la Germania. Un quotidiano tedesco dichiarò: «Federico il Grande fu il primo a riconoscere l’indipendenza della giovane repubblica, quando essa si affrancò dal giogo dell’Inghilterra, conquistando in anni di lotta la libertà con il sangue. Ora l’America manifesta la sua gratitudine al suo successore, Guglielmo II, sotto forma di parole ipocrite e di forniture di guerra al suo mortale nemico».
Lentamente ma inesorabilmente – a causa delle guerra sottomarina – le relazioni Germania-USA andarono peggiorando, malgrado il presidente americano continuasse a respingere le richieste di intervento inglesi e francesi. Il 1° maggio 1916 Wilson inviò l'ambasciatore statunitense in Germania - James W. Gerard - al quartier generale tedesco in Francia di Charleville, protestando direttamente con il Kaiser per i continui affondamenti di navi mercantili americane effettuati dai sommergibili tedeschi. Guglielmo II replicò attaccando la Gran Bretagna per il blocco navale e accusò di complicità gli Stati Uniti. A nome di Wilson, Gerard insistette perché il Kaiser limitasse i siluramenti alle sole navi da guerra. L'ambasciatore spiegò come Washington fosse disposta a permettere al personale dei sommergibili tedeschi di esercitare «il diritto di salire a bordo delle navi e di perquisirle» ma non che sarebbe stato più tollerato che silurassero o affondassero «imbarcazioni di qualsiasi genere, a meno che i passeggeri e l'equipaggio non fossero stati posti in salvo». La settimana successiva il governo tedesco fornì le garanzie richieste, non potendo correre il rischio che gli Stati Uniti entrassero in guerra. Ma l'ambasciatore, in una lettera a Wilson, espresse la convinzione che i tedeschi «sotto la spinta dell'opinione pubblica, dei von Tirpitz e dei partiti conservatori, riprenderanno la spietata guerra sottomarina in un prossimo futuro, probabilmente in autunno, e sicuramente verso febbraio o marzo del 1917».
Alle tensioni provocate dalla guerra sottomarina si aggiungeva il moto di indignazione provocato dalla la deportazione in Germania di 700 mila lavoratori belgi. Fra coloro che protestarono vi fu il cardinale Farley di New York, il quale dichiarò: «Bisogna risalire ai tempi dei Medi e dei Persiani per trovare un altro esempio di un intero popolo tratto in schiavitù». Il presidente Wilson, facendosi portavoce dell'indignazione della sua nazione per la deportazione dei belgi, diede istruzioni all'ambasciatore statunitense a Berlino di sollevare la questione con il cancelliere tedesco. L’ex presidente Roosevelt - avversario di Wilson nelle precedenti elezioni - dichiarò come gli aiuti umanitari inviati ai belgi - di cui gli americani andavano tanto fieri - facessero soltanto il gioco dei tedeschi, i quali estorcevano alla popolazione civile denaro e viveri lasciando che fossero altri a provvedere al suo sostentamento: «Chi fa professione di pacifismo dovrebbe meditare sul fatto che le nazioni neutrali, se avessero impedito l'invasione del Belgio - cosa possibile soltanto se ci fossero state la volontà e la capacità di usare la forza -, con questo atto di "guerra" avrebbero risparmiato a uomini, donne e bambini innocenti quelle sofferenze e miserie cui ora la carità organizzata delle nazioni "pacifiche" del mondo spera di porre rimedio». Per essere ancora più chiaro l’ex presidente scomodò addirittura la Divina Commedia nella quale Dante «aveva riservato un luogo particolare di infamia a quegli angeli vili che non avevano osato schierarsi né con il bene né con il male».
Il 28 ottobre 1916 un altro piroscafo americano – il Lanao – fu affondato al largo del Portogallo e lo stesso giorno il transatlantico inglese Marina venne silurato senza preavviso: morirono 6 cittadini americani. In molti iniziarono a chiedersi fino a quando Wilson avrebbe tollerato tale stato di cose. Solo due giorni prima, in un discorso alla camera di commercio di Ciniciannati, il presidente aveva affermato: «Credo che il tempo della neutralità stia per scadere. La natura della guerra moderna non risparmia nessuno stato».
Nonostante ciò, Wilson non aveva del tutto abbandonato l’idea di giungere alla pace senza un intervento americano. Infatti, già nei primi mesi del 1915 e di nuovo all’inizio del 1916, Wilson aveva inviato in Europa il suo consigliere in politica estera – il colonnello Edward M. House – per un faccia a faccia con i leader inglesi, tedeschi e francesi, che avrebbe dato il via a dei colloqui più ampi riguardo una richiesta americana per una cessazione delle ostilità. Nel maggio 1916, Wilson propose pubblicamente l’istituzione, nel dopoguerra, di un’organizzazione per la sicurezza internazionale, così da spingere le nazioni belligeranti ad accogliere da subito un'iniziativa di mediazione da parte degli Stati Uniti. Nel dicembre dello stesso anno invitò le nazioni in lotta a dichiarare pubblicamente i motivi per i quali stavano combattendo e, nel gennaio 1917, pronunciò un appassionato appello per porre fine alla guerra con un "pace senza vittoria" e la creazione di una League of peace che avrebbe incluso gli Stati Uniti.
Di fronte al fallimento di questi tentativi, la classe politica americana sia Democratica che Repubblicana era ormai persuasa dell’ineluttabilità della guerra, mentre la maggioranza dell’elettorato era ancora convinta che la guerra europea fosse un evento estraneo agli interessi americani. Wilson affrontò perciò le presidenziali del 1916 tenendo conto di questo stato d’animo e, con lo slogan «Ci ha tenuto fuori dalla guerra», in novembre fu rieletto con uno scarto di pochi voti sul candidato repubblicano. Nel frattempo, a fine anno Wilson chiese e ottenne un aumento degli stanziamenti per addestrare ed equipaggiare 500.000 soldati e un piano quinquennale per il rafforzamento della Marina. 
All’inizio del 1917 l’ambasciatore tedesco a Washington, Johann von Bernstorf, informò il segretario di Stato Lansing che la Germania sia apprestava a inasprire nuovamente la guerra sottomarina indiscriminata. Wilson riteneva sempre più difficile mantenere la neutralità, tuttavia in un discorso affermò: «Noi siamo amici sinceri del popolo tedesco e sinceramente desidero di rimanere in pace con esso. Noi non crediamo che [il popolo tedesco] ci sia ostile a meno che o fino a quando non saremo costretti a crederci». La situazione precipitò il 16 gennaio, quando il nuovo ministro degli Esteri tedesco, Alfred von Zimmermann, mise a punto un piano per conquistarsi l'appoggio e l'alleanza del Messico nel caso in cui la guerra sottomarina indiscriminata avesse indotto gli Stati Uniti alla belligeranza. Il Messico - spiegò Zimmermann in un telegramma cifrato indirizzato al plenipotenziario tedesco a Città del Messico - avrebbe «riconquistato» i territori perduti nel 1848: il Texas, il Nuovo Messico e l'Arizona. La Germania e il Messico «avrebbero fatto insieme la guerra e insieme la pace». Il 23 gennaio, quando il telegramma di Zimmermann era ancora segretato, von Bernstorf, il quale non aveva perso la speranza di scongiurare l'intervento degli Stati Uniti, chiese a Berlino 50 mila dollari per “convincere” alcuni membri del Congresso a non rompere la neutralità. Il telegramma contenente tale richiesta fu decifrato a Londra due giorni prima che venisse recapitato a Berlino. Il 3 febbraio, quando non erano passate neppure due settimane da questo tentativo di “comprare” la neutralità americana, il sommergibile U53 affondò il mercantile americano Housatonic. Venutone a conoscenza Zimmermann disse all'ambasciatore statunitense: «Andrà tutto bene. L'America non farà niente, perché presidente Wilson è per la pace e solo per la pace. Tutto continuerà come prima». Tuttavia, quel giorno Wilson annunciò al Congresso che avrebbe rotto le relazioni diplomatiche con la Germania. Non era ancora la dichiarazione di guerra, ma era la fine dell'azione diplomatica che il presidente americano perseguiva da oltre due anni.
Intanto, il 19 febbraio, il telegramma Zimmermann venne decifrato in maniera sufficiente a comprenderne il senso dal controspionaggio britannico e trasmesso a Washington. Il 1° marzo fu reso pubblico il telegramma e Zimmermann ne confermò l'autenticità due giorni dopo. Wilson rispose chiedendo al Congresso di armare le navi americane, così che potessero difendersi dai potenziali attacchi sottomarini dei tedeschi, mentre nell'opinione pubblica statunitense montava la rabbia antitedesca. Il 2 aprile 1917, Wilson chiese al Congresso di dichiarare guerra alla Germania. Il 4 aprile a Washington il Senato approvò l'entrata in guerra degli Stati Uniti e due giorni dopo anche la Camera dei deputati prese una decisione analoga. Era il 6 aprile 1917, e quel giorno gli Stati Uniti dichiararono guerra alla Germania. 
Nessuno dubitava che l'impatto delle truppe americane sullo scenario del conflitto fosse potenzialmente enorme. Gli Stati Uniti avrebbero addestrato almeno un milione di soldati, che a poco a poco sarebbero saliti a 3 milioni. Ma l'operazione avrebbe richiesto tempo, molto tempo: ci sarebbe voluto almeno un anno prima che la grande macchina del reclutamento, dell'addestramento, del trasporto al di là dell'Atlantico e del rifornimento in Francia potesse funzionare a pieno regime. L'esercito statunitense era piccolo, e l'unica sua recente esperienza militare era stata l’inconcludente spedizione punitiva in Messico. Il compito di creare un esercito da inviare in Europa fu affrontato inizialmente dagli Stati Uniti con una certa lentezza. Soltanto dopo un mese dalla dichiarazione di guerra alla Germania l'ex comandante della spedizione messicana, il generale John J. Pershing un telegramma piuttosto enigmatico: «Telegrafami oggi se e come parli, leggi e scrivi francese». Prima che Pershing avesse tempo di rispondere che il francese lo parlava «molto bene», si vide offrire il comando del corpo di spedizione americano.

 


Link

http://encyclopedia.1914-1918-online.net/article/united_states_of_america 
https://encyclopedia.1914-1918-online.net/article/american_expeditionary_forces 

 


Letture

Mark R. Henry, L’esercito statunitense nella Prima guerra mondiale, Gorizia, LEG 2014
George B. Clark, The American Expeditionary Force in World War I: a statistical history, 1917-1919, Jefferson, McFarland & c. 2013
James W. Peterson, American foreign policy: alliance politics in a century of war, 1914-2014, New York, Bloomsbury 2014
Celia Malone Kingsbury, For home and country: World War I propaganda on the home front, Lincoln, 
University of Nebraska Press 2010
Justus D. Doenecke, Nothing less than a war: a new history of America’s entry into World War I, Lexington, University Press of Kentucky 2011