Puntata

La Legione cecoslovacca: dal fronte orientale alla guerra civile russa

di Alessandro Chabat

Contrariamente alle analoghe formazioni cecoslovacche operanti in Europa occidentale – le quali combatterono per il comune obiettivo dell'indipendenza nazionale – le vicende della Legione in Russia furono decisamente piů complesse, valicando i limiti del Primo conflitto mondiale, per inserirsi da protagonista nella Rivoluzione d'ottobre e nella Guerra civile russa.

Come è noto, il primo conflitto mondiale fu combattuto, oltre che sui campi di battaglia, anche in ambito socio-culturale, dando vita ad una vera e propria guerra delle idee. Fin dall'inizio del conflitto entrambe le parti in campo si presentarono come difensori e portatori di culture e ideologie differenti: gli imperi centrali rivendicarono il loro diritto di difendersi dall'accerchiamento diplomatico e militare cui erano stati sottoposti da francesi inglesi e russi, formulando inoltre un'idea di Mitteleuropa, influenzata dalla Kultur tedesca, entro la quale sarebbe sorta una confederazione politico-economica di stati sotto egida germanica. Per contro gli alleati dell'Intesa si presentarono fin da subito come paladini delle libertà democratiche – forti in ciò della tradizione liberale inglese e del richiamo alla rivoluzione francese – e difensori delle nazionalità oppresse dagli imperi centrali.
Tale polarizzazione del conflitto – pur basandosi su rispettive e contrastanti idee di civilizzazione del mondo – agli occhi dell'opinione pubblica internazionale finì per favorire principalmente le potenze dell'Intesa. La strategia estremamente aggressiva degli imperi centrali, con la dura occupazione della Serbia, la violazione della neutralità belga e l'invasione della Francia contribuirono a gettare una luce negativa sull'operato degli imperi centrali e della politica da essi perseguita. Ancor più, nel caso dell'Impero austro-ungarico, era il suo stesso costrutto socio-politico multietnico - saldamente controllato dagli elementi tedesco e magiaro e le cui tensioni nazionaliste al suo interno erano state il casus belli scatenante della guerra – a prestarsi come bersaglio per le offensive propagandiste dell'Intesa.
La duplice monarchia fu così presentata come gabbia dei popoli e oppressore delle nazionalità. Per gli Alleati dell'Intesa divenne perciò un obiettivo strategico il favorire quelle forze centrifughe nazionaliste che potessero contribuire alla disgregazione dall'interno dell'impero asburgico. La formazione di unità militari composte da sudditi dei paesi nemici, pur trascurabili dal punto di vista dell'impatto militare, era la risposta a questa strategia.
All'interno della monarchia asburgica il gruppo etnico slavo rappresentava circa la metà della popolazione. I gruppi ceco e slovacco, in particolare, si erano dimostrati tra i più attivi nella riscoperta delle proprie radici storiche e culturali, nonché nello studio e nella diffusione di idee nazionaliste e panslaviste. Nel 1882 fu fondato a Praga il Sokol, un'associazione sportiva e ricreativa riservata ai cechi che, in realtà, oltre a perseguire attività ginniche, diffondeva la storia ceca e la mitologia nazionale, divenendo presto un vero e proprio centro didattico e intellettuale con tratti paramilitari. I suoi membri indossavano infatti un'uniforme comune mutuata dalla tradizione slava ed adottarono una propria bandiera rossa decorata con un falco bianco. Allo scoppio della Grande guerra l'associazione – vista dalle autorità imperiali come sovversiva e antipatriottica - fu chiusa con la forza.
A livello politico, il partito che maggiormente rappresentava le istanze di cechi e slovacchi era il Partito progressista ceco, fondato nel 1900 da Tomáš Garrigue Masaryk, intellettuale e studioso della cultura boema e fautore di una maggiore collaborazione tra cechi e slovacchi, dei quali rimarcava le similitudini e le comuni origini. Inizialmente, il partito perseguiva l'obiettivo di una maggiore autonomia all'interno dell'impero attraverso la lotta parlamentare e ripudiando soluzioni radicali. Lo scoppio della guerra, tuttavia, modificò profondamente gli obiettivi del partito. Masaryk intravide nel conflitto in atto la possibilità di cogliere l'indipendenza nazionale perorando la causa cecoslovacca tra le potenze dell'Intesa e attirando a sé quanti più connazionali possibile. Pur essendo deputato al parlamento di Vienna, egli fuggì in Francia per organizzare una centrale dell'indipendentismo cecoslovacco. Qui giunse a contatto con altre due importanti figure, Milan Štefánik  e Edvard Beneš, con i quali fondò il consiglio nazionale cecoslovacco, dichiarando simbolicamente guerra all'Austria Ungheria nel novembre 1915.

Nonostante questo retroterra di pulsioni nazionalistiche, allo scoppio del conflitto mondiale la maggioranza dei sudditi cechi e slovacchi rispose alla chiamata alle armi e la mobilitazione si svolse senza particolari disordini. Fu l'andamento generale della guerra – con la dura sconfitta nella battaglia di Galizia, la costosa conquista della Serbia e le enormi perdite subite - a minare la combattività e la coesione dei reparti boemi. Secondariamente, il trovarsi contro nemici quali russi e serbi, rispetto ai quali cechi e slovacchi avevano non poche affinità linguistiche e culturali, innescò una stretta disciplinare da parte degli ufficiali austriaci e magiari, cosa che non favorì la motivazione tra i soldati.
Intanto, dall'altro lato del fronte, nell'agosto del 1914, i circa 100 mila cechi residenti entro i confini dell'impero russo inviarono una petizione allo zar per richiedere la formazione di un'unità militare composta esclusivamente da cechi – chiamata Družina– per volgere le armi contro austriaci e  tedeschi.
L'unità, composta inizialmente da 720 reclute, prestò giuramento nel settembre del 1914 a Kiev, raggiungendo il fronte il mese successivo. I compiti della Družina erano principalmente di infiltrazione, esplorazione e agitazione politica, con azioni volte a convincere i reggimenti slavi della KUK Armee a disertare. Per agevolare le defezioni, lo stesso Masaryk – in accordo con lo STAVKA – stabilì che i soldati russi non avrebbero aperto il fuoco contro quei soldati cechi e slovacchi che si fossero arresi indossando una divisa verde e cantando l'inno "Hej Slovane".
Ciononostante, la Česká Družina cresceva lentamente, poiché erano gli stessi vertici russi a non voler fomentare un'aperta ribellione contro un'autorità imperiale per molti aspetti simile a quella zarista, creando così un pericoloso precedente per l'ordine interno. La stessa defezione di due reggimenti austroungarici, a prevalenza ceca, tra aprile e maggio del '15, era più da ascriversi alla durezza dei combattimenti che a sentimenti antipatriottici da parte delle truppe. Tuttavia, tali episodi innescarono un'ondata repressiva degli ufficiali austriaci e magiari che sparpagliarono i soldati cechi in reggimenti plurilingue, non favorendo la coesione e la tenuta dei militari.
Malgrado ciò la crescita della Družina fu costante, grazie all'afflusso di volontari tratti dai cechi residenti entro i confini dell'impero russo e tra i numerosi prigionieri catturati durante la campagna di Galizia. A questo scopo è interessante la memoria del soldato imperial-regio Giuseppe Bresciani, il quale descrive il campo per prigionieri austro-ungarici di Darnica (Ucraina) come un luogo dove le contraddizioni della duplice monarchia emergevano, con i prigionieri che si dividevano per gruppo etnico, inastando le proprie bandiere nazionali e intonando i propri inni patriottici.

Nella prima metà del 1916 la consistenza dei battaglioni cecoslovacchi era tale da consentire la formazione della Československá Střelecká Brigáda (Brigata fucilieri cecoslovacchi), forte di 7500 uomini. Nel maggio del 1917 giunse a Pietrogrado Masaryk, che fu riconosciuto rappresentante ufficiale, politico-militare, dei legionari cecoslovacchi in Russia. Spostatosi a Kiev, presiedette al primo congresso nazionale ceco, durante il quale presentò la mappa della futura repubblica cecoslovacca, annunciando il sostegno del presidente Wilson all'iniziativa.
La brigata cecoslovacca diventava il primo nucleo dell'esercito nazionale ceco e slovacco e a breve avrebbe partecipato in massa alla prima vera offensiva contro gli imperi centrali. Nel luglio del '17 ebbe inizio l'ultima azione dell'esercito russo sul fronte orientale - l'offensiva Kerensky – alla quale prese parte l'intera brigata cecoslovacca. Questa fu impegnata nel settore di Zborov dove 7000 cecoslovacchi misero in fuga 12 mila soldati austro-ungarici, catturandone 4200. Fu nel corso della battaglia che Jan Syrový, il futuro comandante della legione, perse un occhio, venendo paragonato al leggendario generale Hussita Jan Žižka.
In un momento di profonda crisi dell'esercito russo, attraversato da moti rivoluzionari, ammutinamenti e diserzioni, Kerensky decise di sfruttare la fedeltà e la combattività delle forze cecoslovacche, avvallandone l'ampliamento. Nel luglio del '17 fu formata una seconda brigata e in settembre un vero e proprio corpo d'armata cecoslovacco, forte di 40 mila uomini: era nata la Legione.
In una Russia scossa dai disordini, le unità cecoslovacche furono schierate in Ucraina nell'attesa di ordini precisi. Qui, nell'ottobre del '17 giunse la notizia della presa del potere da parte dei Bolscevichi. Masaryk e il consiglio nazionale cecoslovacco manifestarono la propria fedeltà al governo provvisorio, dichiarandosi comunque neutrali rispetto agli affari interni russi.
Tuttavia, ciò nella pratica risultò impossibile. L'Ucraina proclamò la propria indipendenza formando un consiglio nazionale (la Rada), scontrandosi con le guardie rosse e coinvolgendo nei combattimenti gli stessi legionari cecoslovacchi. Nel dicembre del '17 le autorità bolsceviche firmarono la pace di Brest-Litovsk con gli imperi centrali, seguite dalla Rada ucraina nel gennaio del '18. La Legione, di colpo, si trovava in una situazione spinosa, ovvero essere una forza armata straniera, schierata in una nazione in preda all'anarchia, la quale aveva firmato la pace con un avversario contro il quale vi era ancora la volontà di combattere. Il consiglio nazionale cecoslovacco, intenzionato anch'esso a proseguire la guerra contro gli imperi centrali, aveva raggiunto un accordo con le autorità russe e ucraine per il trasferimento della legione sul fronte occidentale. Le operazioni di trasferimento furono però rese difficoltose dalla chiusura del porto di Murmansk lasciando come unica via il lungo percorso attraverso la Transiberiana fino a Vladivostok. Da qui i legionari si sarebbero imbarcati per gli Stati Uniti, giungendo infine in Europa.
Fin da subito, le condizioni imposte dalle autorità bolsceviche per il trasferimento generarono un diffuso malcontento. Secondo gli accordi le unità cecoslovacche dovevano consegnare un certo quantitativo di armi alle guardie rosse. Ogni reggimento poteva conservare i propri fucili, cinquanta mitragliatrici Colt e Maxim e una batteria con due cannoni. Tuttavia, con il proseguire del viaggio verso est le requisizioni di armi crescevano ad ogni sosta del convoglio, destando numerose preoccupazioni.
A metà aprile 16 mila uomini della legione erano dislocati sul tratto della Transiberiana tra Penza e Chelyabinsk-Mass. Altri 4500 erano stanziati a Novosibirsk e 14 mila a Vladivostok. Il 14 maggio, presso la stazione di Chelyabinsk, le crescenti tensioni tra i legionari e le autorità bolsceviche si trasformarono in rivolta. Durante il transito verso ovest di un convoglio di ex prigionieri ungheresi, questi ultimi inveirono contro i cecoslovacchi, accusandoli di tradimento e lanciando sassi contro di loro. Scoppiarono degli scontri, nel corso dei quali un soldato magiaro rimase ucciso. Le autorità russe arrestarono alcuni legionari e imposero la consegna delle armi. Nel corso di una riunione tra i delegati della Legione, emersa una ormai insanabile l'ostilità nei confronti dei bolscevichi, fu deciso di liberare con la forza i legionari in mano russa e aprirsi con le armi la via per Vladivostok, presidiata dai legionari del generale Mikhail Diteriks. I vertici della Legione avevano infatti compreso come le autorità bolsceviche, strette da una collaborazione forzata con gli imperi centrali, non avrebbero mai permesso l'evacuazione pacifica dei militari cecoslovacchi verso il fronte occidentale. Iniziava la campagna della Transiberiana. Da parte sua Trotskij, sotto pressione tedesca, ordinò il disarmo e la resa della legione.
Il compito per i legionari era arduo: essi dovevano mettere in sicurezza i 10 mila km di ferrovia che separavano Penza dal Pacifico, raccogliendo i gruppi di commilitoni scaglionati lungo la linea. Malgrado le difficoltà, già il 29 maggio i legionari al comando del generale Stanislav Čeček avevano sconfitto a Penza un gruppo di Guardie rosse, rimpossessandosi delle armi sequestrate precedentemente. Aveva inizio una sorta di "guerriglia ferroviaria" che comprendeva l'interruzione dei binari per non essere raggiunti dai treni blindati sovietici, assalti ai convogli per requisire materiale rotabile, aggiramenti delle città sfruttando le linee extraurbane e utilizzo di convogli esplosivi.
Pur subendo un crescente attrito di perdite, a causa della sempre maggiore organizzazione della nascente Armata rossa, i legionari espugnarono uno dopo l'altro i punti strategici lungo la Transiberiana. Il primo settembre 1918 la Legione celebrò il collegamento simbolico tra i gruppi occidentale e orientale. Essa controllava l'intero tratto della ferrovia dal Volga al Pacifico e poteva contare su 259 treni, 531 vagoni passeggeri e 10287 carri merci. La Legione era pronta per essere trasferita sul fronte occidentale.
Tuttavia, i piani degli alleati erano intanto cambiati: l'afflusso dei militari americani rendeva meno necessaria la presenza della Legione in Francia, mentre, per contro, le posizioni da essa tenute sulla Transiberiana ne rendevano conveniente l'utilizzo per un duplice scopo. Da una parte impedire il rientro dei prigionieri austro-ungarici e tedeschi verso casa e tenere lontani gli imperi centrali dalle risorse minerarie russe, costringendoli a mantenere truppe ad oriente. Dall'altra, la Legione – forte ora di 70 mila uomini ben addestrati e armati – poteva contrastare efficacemente l'Armata rossa e supportare le forze bianche controrivoluzionarie ed era di fatto l'unica vera forza militare organizzata in Russia. La Legione, suo malgrado, diveniva così la “punta di lancia” dell'intervento alleato nella rivoluzione russa.
Tra luglio e settembre 1918, le unità cecoslovacche operarono lungo il Volga a sostegno del governo socialista rivoluzionario del KOMUCH, occupando Kazan e le relative riserve auree dell'ex impero zarista. Tuttavia, una controffensiva dell'Armata Rossa spazzò via il governo del KUMOCH che fu costretto a ritirarsi ai piedi degli Urali, a Omsk, dando vita alla Repubblica di Siberia, sostenuta anche dai reparti della Legione. Intanto, in Europa, la Grande guerra volgeva al termine e nasceva la repubblica cecoslovacca. Il nuovo ministro degli affari militari Štefánik si recò in Russia per rinsaldare il morale della Legione e a riconfermare il sostegno alle armate bianche.
Nel frattempo, una nuova figura si andava imponendo nella guerra civile, l'ammiraglio Aleksandr Kolčak, il quale rovesciò il governo di Omsk autoproclamandosi “governatore supremo di tutte le russie”. Questi diede vita ad una dittatura strettamente militare, delegando molti poteri ai propri ufficiali, che instaurarono un regime del terrore. Su pressione anglo-francese, la Legione inizialmente supportò il regime dell'ammiraglio, tuttavia una serie di eventi misero in crisi la tenuta e il morale dei reparti cecoslovacchi, così come la volontà di proseguire la guerra a fianco di  Kolčak.

La nascita della Cecoslovacchia, per altro impegnata in un conflitto con l'Ungheria comunista di Bela Kun, spinse molti legionari a voler rientrare in patria e a porre termine ad una guerra che non li riguardava e che in molti ritenevano senza senso. Inoltre, al termine del conflitto in Europa, le potenze dell'Intesa non formularono alcuna dichiarazione di guerra nei confronti della Russia bolscevica, limitandosi ad inviare piccoli contingenti militari a presidiare i propri interessi economici. Molti legionari si sentirono sempre più come pedine in un gioco delle grandi potenze europee, senza alcun riconoscimento internazionale, utilizzati come truppe mercenarie. Ultimo, ma non meno importante, Kolčak impiegò la Legione in dure e violente operazioni di contro-guerriglia lungo la Transiberiana, deprimendo ulteriormente il morale e allentando la disciplina dei soldati cecoslovacchi, tra i quali emerse sempre più chiara la volontà di svincolarsi dall'ammiraglio.
Lo stesso governo di Kolčak si avviava al suo epilogo. L'offensiva di primavera contro l'Armata Rossa era stata respinta, mentre le armate bianche subivano continue defezioni. Nella seconda metà del 1919 iniziò inoltre il disimpegno degli alleati dalla Siberia, privando l'ammiraglio di preziosi supporti. Nell'ottobre del '19 fu la volta della Legione: Masaryk ordinò il ritiro dei reparti cecoslovacchi e il loro rientro in patria.
Nel novembre del '19 l'Armata Rossa travolse le truppe di Kolčak, che fu costretto ad una precipitosa ritirata. Nel dicembre dello stesso anno i comandi alleati ordinarono ai reparti della Legione stanziati a Nizhneudinsk di catturare il treno sul quale viaggiava l'ammiraglio e una parte consistente delle riserve auree russe. L'ammiraglio fu posto sotto la custodia preventiva dei legionari durante il viaggio verso Vladivostok.
Giunto a Irkutsk il convoglio fu bloccato dai bolscevichi, che intimarono la consegna dell'ammiraglio. Il 30 gennaio 1920 il generale Syrový, in accordo con il comandante nominale della Legione, il francese Maurice Janin, decisero di consegnare Kolčak ai bolscevichi in cambio del libero passaggio. L'ammiraglio fu fucilato il 7 febbraio successivo. Questo fu l'atto ultimo della Legione in Russia. Tra marzo e settembre 1920, 56 mila legionari, 6000 civili cechi e 2000 donne e bambini lasciarono Vladivostok dirette in Europa. Durante quasi due anni di operazioni la Legione aveva subito oltre 4000 caduti in combattimento.
Contrariamente alle analoghe formazioni cecoslovacche operanti in Europa occidentale – le quali combatterono per il comune obiettivo dell'indipendenza nazionale - le vicende della Legione in Russia furono decisamente più complesse, dato il suo coinvolgimento nelle traumatiche vicende politiche, sociali e ideologiche della Rivoluzione d'ottobre e della successiva guerra civile tra bianchi e rossi. Tuttavia, sarebbe riduttivo descrivere la Legione unicamente come una formazione antibolscevica, con quelle tendenze reazionarie che spesso caratterizzarono le armate bianche.
Indubbiamente, anch'essa fu coinvolta nelle brutalità perpetrate da entrambe le parti nella guerra civile, ciononostante la Legione mantenne sempre una forte autonomia nel perseguire i propri obiettivi rispetto alle forze in campo. Il sostegno ai governi socialisti rivoluzionari, avversi sia ai bolscevichi che ai bianchi, ne è la dimostrazione.
Unità cecoslovacche, soprattutto nelle fasi iniziali della guerra civile, in taluni casi collaborarono con i bolscevichi e fino alla fine intavolarono con essi trattative, tregue e accordi. Inoltre, fino al novembre 1918, si segnalarono diverse defezioni tra i legionari, che si unirono ai rivoluzionari russi. Successivamente, la scelta di campo a favore dei bianchi fu obbligata dalla volontà della legione di giungere sui campi di battaglia europei e in seguito in patria, cosa che i trattati di Brest-Litovsk prima e la guerra civile poi negavano ad essa.
Anche quando - su pressione anglo-francese – i vertici della Legione decisero di supportare timidamente la dittatura dell'ammiraglio Kolčak, numerose voci critiche si levarono contro lo schieramento bianco. Nel novembre del 1919 - meno di un mese dopo l'ordine di ritiro della Legione - i rappresentanti in Russia del consiglio nazionale cecoslovacco inviarono agli Alleati un memorandum nel quale denunciavano il regime del terrore instaurato da Kolčak e la volontà dei legionari di non collaborare con esso, attendendosi al non intervento negli affari interni russi. Ciò andava a rimarcare ulteriormente il carattere autonomo della Legione, solo formalmente sotto comando alleato.

Nel dopoguerra, la memoria delle Legioni divenne un mito fondatore della Cecoslovacchia indipendente, celebrato con numerosi monumenti. In Russia, dopo la vittoria dei bolscevichi, i memoriali eretti in Siberia nei vari cimiteri di guerra della Legione furono sistematicamente distrutti, con l'eccezione di Vladivostok, dove tutt'oggi sopravvive il monumento originale. Solo nel primo decennio degli anni Duemila i numerosi memoriali in terra russa sono stati ripristinati.
Ciò ha contribuito ad una ripresa dell'interesse attorno alle vicende della legione nella guerra civile russa, andando oltre la collaborazione con le forze bianche. Una vicenda che uscì dai limiti del Primo conflitto mondiale, per inserirsi da protagonista nella Rivoluzione d'ottobre e nella Guerra civile russa.


Testimonianze

Arruolarsi nelle Legioni

Nella Legione ceca, un estratto del giornale pubblicato da Josef Jiří Švec (1883-1918), nel 1914 insegnante di educazione fisica a Kiev, uno dei primi volontari nelle legioni cecoslovacche in Russia. Promosso colonnello il 31 agosto 1918, si suicidò il 25 ottobre, tre giorni prima dell'indipendenza ceca

Nello stesso periodo, abbiamo saputo dell'esistenza di Česká Družina decidendo immediatamente di offrirci volontari. Prima io, Bejček e Válek. I figli di N. Bavaria - Tolar e Hamata - si sono uniti a noi più tardi. Poiché non sapevo quale sarebbe stato l'obiettivo di Družina, o quali azioni avrebbe intrapreso, mi sono preparato come se dovessi morire. Ho scritto le lettere obbligatorie ai miei genitori e Maki, in cui dettavo le mie volontà in caso di morte. [...]. E' stato mentre scrivevo a Maki che ho sentito un'enorme amarezza. Poiché ero così triste al pensiero che non ci saremmo mai più rivisti, ho scritto solo poche parole. Prima di partire per Kiev, sono andato a trovare tutti i miei parenti. Alla scuola professionale, tutti  hanno approvato la mia decisione, mi hanno dato 75 rubli per acquistare uniforme e attrezzatura e hanno promesso di accompagnarmi alla stazione. Solo Evgenie Mikhailovna, moglie del direttore, mi ha bloccato dicendo che erano già in molti a partire e che sarebbe un peccato perdere me, e dopo tutto, sarei più utile là che sul campo di battaglia in cui gli spari potevano spesso porre fine a un destino promettente. Tuttavia, la mia risposta è stata categoricamente negativa: se decidessimo tutti di rimanere a casa, perderemmo. E proprio ora che il momento propizio è arrivato - non solo per aiutare il nostro paese ma gli stessi Slavi - noi, i Sokol siamo i primi ad essere pronti ad agire non solo in termini di idee, simboli, ma anche impegnandoci attivamente in conformità con la nostra missione".
 

Il campo di prigionia di Termini Imerese; estratti delle discussioni attorno al primo impiego delle Legioni in Italia, nell'estate 1917. Jan Ruml (1885-?), Insegnante, tenente delle legioni cecoslovacche

Gli undici [volontari] furono accolti con riluttanza. A quel tempo, molti di noi non sapevano perché. [...]

Ebbero inizio dibattiti feroci, specialmente di notte in piccoli gruppi, le diverse fazioni si cristallizzarono. Non eravamo in grado di pensare a nient'altro, a parlare di altro che della libertà della nostra nazione. [...] Sebbene approvassimo le azioni militari straniere e ammirassimo quei combattenti sconosciuti, non eravamo consapevoli del nostro dovere. Dovevamo arrivarci gradualmente. Fu solo dopo molte discussioni che alcuni iniziarono a rendersi conto che tutto il discorso era futile se non portava all'impegno nell'esercito. [...]

Cominciò così il primo combattimento, una dura lotta, in cui ognuno doveva conquistare se stesso. In guerra, avevamo capito il valore della vita mentre ora, al sicuro in prigionia, chi si sarebbe di nuovo messo in pericolo? Il rischio di essere denunciati in Austria era grande. E dopo, cosa ne sarebbe stato della famiglia? I genitori? E se fossimo stati catturati, non ci aspettava altro che una morte umiliante. E cosa succederebbe se fossimo feriti in combattimento? E andremmo se l'Austria vincesse la guerra, nonostante tutto? Inoltre, i dubbi sull'utilità dell'azione ci ossessionano [...].

I dibattiti appassionati lasciarono il posto a piccoli incontri tra amici. Ma anche questi ultimi diventano rari. [...] In quel momento, tutti si dileguarono per discutere da soli con se stessi. Ogni argomento contro [l'impegno] rafforzava l'egoismo. «La nostra azione è giusta ma non posso impegnarmi, ho una famiglia  a casa, io. Cosa farebbero i miei vecchi genitori se non tornassi da loro! Sono vecchio, non sono un buon soldato! Mio padre è un funzionario imperiale.» Ma la voce della coscienza si opponeva, difendendo il dovere morale. Alla fine, fu trovata una formula di compromesso: per rappresentarci all'estero con onore, l'esercito aveva bisogno solo dei migliori soldati, i più coraggiosi. «Sei tra quelli? Puoi aiutare la nostra causa in modo diverso! Potresti unirti all'esercito ma non alle unità di combattimento». E la coscienza rispose a sua volta ponendo la domanda chiara: «Vuoi essere un ceco onesto o un traditore, a cui tutti possono sputare? Non c'è altra alternativa!»

Il risultato fu il seguente: i volontari degli altri campi di prigionia già menzionati ribadirono la stessa proposta e fummo in molti ad arruolarci il 4 settembre 1917.
 

Attraverso il Canada, dal 06 al 12 giugno 1920. Il campo militare di Valcartier dal 12 giugno al 8 luglio 1920, Rudolf Hašek, comandante delle legioni cecoslovacche in Russia

Il 6 giugno alle 23 il primo treno lasciò la stazione con l'intero battaglione d'assalto tranne la 1° compagnia. Il treno consisteva in 11 vagoni collegati. Subito dopo la locomotiva, fu attaccato un grande vagone con la cucina e il refettorio; abbiamo mangiato lì. Il nostro treno, nei suoi 11 carri, trasportava comodamente 627 uomini.

Verso le 14:00, ci siamo fermati in una piccola stazione, a circa 16 km da Quebec City. Qui siamo stati ricevuti da un colonnello inglese, accompagnato da una compagnia d'onore e dalla banda militare. [...] Gli ufficiali e i soldati inglesi ci guardarono e fecero il saluto militare al nostro battaglione e al comandante Hásek [...].

Avevamo saputo che il nostro soggiorno in America sarebbe stato prolungato. Le navi che dovevano  trasportarci in Europa, non avevano nemmeno lasciato i porti inglesi. Non saremmo riusciti ad essere a Praga per il grande raduno dei Sokol.

I nostri rapporti con i soldati inglesi erano diventati molto amichevoli. Era molto comico vedere come i nostri ragazzi cercavano di comunicare in una lingua di cui sapevano poco. Il secondo giorno, organizzammo un evento sportivo. Sul grande campo di calcio, la squadra del battaglione sfidò la squadra inglese. Il punteggio fu di 3:3.

Durante questa calda estate, gli addestramenti programmati dal comandante del battaglione furono ridotti al minimo e passammo la maggior parte del nostro tempo libero a fare il bagno nel fiume Valcartier. La sveglia suonava alle 5 e le luci venivano spente alle 22 in punto. La nostra vita tranquilla fu interrotta solo dalla notizia che Lord Devonshire, il Viceré del Canada, sarebbe venuto a trovarci in visita, annunciata per il 18 giugno.


Link

https://encyclopedia.1914-1918-online.net/article/czechoslovak_legions_russian_empire
http://blogs.bl.uk/european/2017/08/a-czechoslovakian-epic-the-czechoslovak-legion-in-the-russian-revolution.html
http://militaryhistorynow.com/2013/06/02/a-long-way-from-home-the-czech-legions-amazing-trek-across-siberia/


Letture

Brent Mueggenberg, The Czecho-Slovak Struggle for Independence, 1914–1920, McFarland, 2014
Orlando Figes, A People's Tragedy: Russian Revolution 1891–1924, Jonathan Cape, London, 1996
David Bullock, Legione ceca nella Prima guerra mondiale, LEG Edizioni, Collana BAM, 2014
Francesco Leoncini, Il patto di Roma e la legione cecoslovacca. Tra grande guerra e nuova Europa, Kellermann Editore, 2014